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Nella seconda metà degli anni Sessanta, il podio dei pesi massimi del rock’n’roll è occupato da Beatles e Rolling Stones; eppure la storia sembra avere offuscato la figura dei campioni terzi classificati, quelli che esibiscono l’onorevolissima medaglia di bronzo: gli Small Faces.

[di Andrea Valentini – continua dalla parte 2]

Andrew Loog Oldham

La fama e il successo di proporzioni quasi beatlesiane non fanno bene a Marriott, Lane, McLagan e Jones, che hanno anche iniziato a sperimentare con le prime droghe psichedeliche.

Steve Marriott: “Tutto questo ci fece regredire, mentalmente, almeno di dieci anni. Andavamo in giro sparandoci con pistole ad acqua e armi finte. Impazzimmo un pochino. Mi ricordo che Ronnie, un giorno, senza alcun motivo si mise a saltare e a girare in aria in mezzo a Carnaby Street. Non sapevamo cosa ci stesse accadendo e non eravamo in grado di affrontarlo”.

Intanto l’11 novembre del 1966 esce un nuovo singolo, “My Mind’s Eye” (arriva al quarto posto delle classifiche) che è il canto del cigno del rapporto della band con Arden; i genitori dei ragazzi, infatti, chiedono al manager come mai i loro figli non stiano guadagnando poi molto, nonostante il grande successo, e lui risponde che sono tutti tossicodipendenti e spendono il denaro in droga da iniettarsi. Questa palese menzogna (i ragazzi amano sballarsi, ma non sono tossicomani e soprattutto sono affascinati dal lato lisergico della faccenda), per giustificare una gestione degli affari poco pulita, è la goccia che fa traboccare il vaso e tra polemiche e recriminazioni il rapporto si chiude.

Marriott: “Arden voleva un gruppo pop che suonasse mod e non capiva che eravamo l’esatto opposto, non lo ha capito neppure quando abbiamo iniziato a ribellarci e a suonare le cose di Booker T dal vivo. Se avessimo fatto ciò che diceva avremmo suonato ‘Sha La La La Lee’ per sempre”.

Gli Small Faces si affidano quindi a un vero pezzo da novanta della scena: Andrew Loog Oldham, che si occupa anche degli Stones (anche se non per molto ancora) e li traghetta verso un nuovo contratto discografico con la sua label, la Immediate. La Decca e Arden non prendono benissimo la cosa, tanto che il 2 giugno del 1967 esce un album retrospettivo – e non autorizzato dalla band – intitolato “From The Beginning”, proprio per Decca: contiene tutti i singoli pubblicati fino a quel momento, più qualche cover incisa e mai utilizzata prima. Quasi contemporaneamente, dopo il singolo “I Can’t Make It”, esce il primo album del gruppo per Immediate, intitolato nuovamente (e sembra uno scherzo) “Small Faces”, pur non avendo nulla a che fare con il debutto.

New label

Le cose con la nuova label e Oldham paiono andare meglio, anche se si tratta solo di un’impressione. Mac ricorda: “La Immediate era grande. Per la prima volta ci pagarono. Ma quando dico che ci pagarono intendo che ci alzarono il salario da 20 a 60 sterline a settimana”. E Marriott aggiunge: “Erano il nostro management, la nostra etichetta e la compagnia di edizioni. La sapevano lunga. Ci facevano avere dei report in cui era scritto dove avevano speso i soldi. Tutto qui. Era roba che poteva assemblare una qualsiasi dattilografa, a caso. E nove volte su dieci scoprivamo che i soldi non erano stati spesi come avevano detto. Eravamo sempre in debito con loro e non ci arrivavano royalty. […] Andrew ci ha fatto da manager per circa tre anni. Era pazzesco. Un folle. Ci faceva ridere molto. Non abbiamo fatto un centesimo, ma ci siamo divertiti”.

Per la band il sodalizio con la Immediate è senza dubbio efficace e in qualche modo offre un trampolino alla creatività dei musicisti; un singolo come “Itchycoo Park” (11 novembre del 1967), ad esempio, è una vera pietra miliare, che porta la band anche nelle classifiche statunitensi. Se i Beatles, gli Stones e i Kinks sono circa allo zenith del loro successo commerciale come band pop, gli Small Faces sono dei validissimi avversari, che in più giocano perversamente a inserire messaggi legati alle esperienze psichedeliche e al consumo di sostanze psicotrope nei pezzi. Marriott commenta: “Forse la cosa migliore che abbiamo ottenuto da Arden è che ci ha creato un’immagine pulitina, da canzonette. Avremmo potuto farla franca anche ammazzando qualcuno. E l’abbiamo fatto, praticamente. ‘Itchycoo Park’ parlava di un viaggio con l’acido. Il primo disco per la Immediate era tutto un trip da acido”.

[Continua con la parte 4]