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Nella seconda metà degli anni Sessanta, il podio dei pesi massimi del rock’n’roll è occupato da Beatles e Rolling Stones; eppure la storia sembra avere offuscato la figura dei campioni terzi classificati, quelli che esibiscono l’onorevolissima medaglia di bronzo: gli Small Faces.

[di Andrea Valentini – continua dalla parte 3]

Ogden’s Nut Gone Flake

Il masterpiece psichedelico degli Small Faces (sempre targato Immediate) esce il 24 maggio 1968, preceduto dal singolo “Lazy Sunday”. La copertina speciale, rotonda e sagomata come una vecchia scatola di tabacco lo rende speciale già a prima vista. Ma il contenuto lo è ancora di più: lo testimonia anche il successo di vendite, che lo porta al numero uno per ben sei settimane. “Ogden’s Nut Gone Flake” è un concept album, una favola lisergica folle e bizzarra, il cui protagonista si chiama Stan. I brani sono articolati, si avvalgono di molti trucchi tecnologici di studio e di sovraincisioni abbondantissime, elemento che li rende difficilmente riproducibili dal vivo. Dell’album solo due pezzi, infatti, entrano a far parte della scaletta degli Small Faces: la tesa e rockettara “Song Of A Baker” e “Rollin’ Over”.

Marriott a posteriori riflette: “Se solo avessimo avuto un po’ di attributi avremmo assoldato il narratore Stanley Unwin, una sezione d’archi e saremmo andati in giro con tutti quanti. Invece continuammo a cazzeggiare, buttandoci sul palco e affrontando gli urli. Fu orribile. Andrew stava perdendo interesse nella Immediate, quindi non ci seguì molto; tutto quello che avevamo era la formula che aveva funzionato prima, ma era diventata un albatross incapace di librasi in volo”.

L’album è un successo, ma il disastro è dietro l’angolo: il primo singolo post “Ogden’s Nut Gone Flake” è intitolato “The Universal” ed è accolto con freddezza; a suo favore non gioca certo il fatto che sia in pratica costruito su una registrazione lo-fi di Marriott che suona nel giardino di casa sua, coi cani che abbaiano in sottofondo. Un fallimento commerciale che il chitarrista  prende molto seriamente: “Certo che la presi sul personale, perché quella era la canzone migliore che avevo mai scritto, secondo me”… e infatti ben presto questo brano diventerà l’ultimo pubblicato in maniera ufficiale dagli Small Faces.

Liberi tutti

L’irreparabile accade nella notte del 31 dicembre del 1968; la band sta suonando un concerto di Capodanno e Marriott, a metà del set, si allontana dal palco dicendo semplicemente: “Me ne vado”. Alla radice dell’abbandono la frustrazione per l’impossibilità di proporre il materiale più complesso di “Ogden’s Nut Gone Flake” dal vivo, la stanchezza della vita on the road e l’incapacità di scrollarsi di dosso l’immagine pop acquisita ai tempi di Arden. Kenney Jones: “Vorrei tanto che fossimo stati un po’ più maturi all’epoca. Se fossimo riusciti a suonare ‘Odgens’ live avremmo guadagnato una gran fiducia nei nostri mezzi, mentre invece continuavamo a essere etichettati come gruppo pop, cosa che dava sui nervi di Steve molto più di quanto credessimo. […] Poi Steve ha pensato: ‘E adesso come possiamo fare meglio di Odgens?’ e ha deciso di mollare. Perché quello era un capolavoro e suonandolo dal vivo avremmo avuto accesso a grandi cose; capisco solo ora che eravamo sul punto di oltrepassare un confine e diventare una band più grande”.

La Immediate pubblica al volo un doppio album antologico non ufficiale, per battere il proverbiale ferro finché è caldo. Marriott, dal canto suo, si unisce agli Humble Pie di Peter Frampton, dove si accontenta di un ruolo da gregario: volutamente tenta di stare lontano dai riflettori e dal ruolo di frontman. I suoi ex compari invece, reclutato un certo Rod Stewart alla voce e un tizio bassino di nome Ronnie Wood alla chitarra, diventano The Faces… e tutto il resto è storia.

L’epilogo: 1975-1978

Nel 1975 si verifica un vero e proprio ritorno di fiamma per gli Small Faces, che si riformano dopo quasi sette anni di limbo; certo, a onor del vero, l’operazione è più che altro frutto del fatto che i Faces si sono sciolti, così come gli Humble Pie, ma ciò che conta è che la band ci riprova. Lane molla subito a causa di un terribile malinteso: durante una session di prova, infatti, il bassista inizia a mostrare i primi segni della terribile malattia che lo ha colpito (la sclerosi multipla) e Marriott invece pensa sia semplicemente ubriaco. Ne scaturisce una lite furibonda dopo cui Lane abbandona la nave.

Il resto della formazione rimane insieme (reclutando Rick Wills al basso, ex Humble Pie e Roxy Music) e tra il ’77 e il ’78 incide due album per la Atlantic: “Playmates” e “78 In The Shadows” (in quest’ultimo alla seconda chitarra c’è Jimmy McCulloch, ex Wings). Sfortunatamente il ciclone punk, però, sta imperversando e per gli Small Faces non c’è più posto in un mercato musicale del tutto rivoluzionato, rispetto ad appena cinque anni prima. Il risultato è una doppietta di fallimenti commerciali, con conseguente definitivo scioglimento.