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Dal pub rock alla new wave senza passare dal via. La Stiff Records è stata la fonte d’ispirazione per tutte le etichette indipendenti, una pioniera, un laboratorio di culto capace di sfornare musica e gadget ancora oggi oggetto di collezionismo accanito. La Stiff aveva tutto quello che serve per conquistarsi l’immortalità (artistica). O forse no? le luci e le ombre di una delle etichette più influenti di sempre.

[di Gareth Murphy – articolo integrale pubblicato su Vinyl n.9]

La Stiff Records è riuscita in un’impresa quasi impossibile: essere divertente, alla moda, un po’ intellettuale, ma senza perdere la propria carica trasgressiva.
Questa etichetta indipendente ha dato vita alla new wave britannica, grazie a un’improbabile miscela di maneggioni, giovani prodigi, tipi strambi e meraviglie musicali rette da un solo accordo.
E ci è riuscita perché, emersa dalla palude alcolica dei tanti locali di provincia nei cui seminterrati si è forgiato il pub rock, si è poi trovata nel posto giusto al momento giusto.

La scintilla iniziale

Prima che l’etichetta, quasi per caso, venisse alla luce nell’estate del 1976, proprio mentre il punk iniziava a ribollire nelle strade, i suoi fondatori, Jake Riviera e Dave Robinson, erano già manager navigati di artisti rock come Dr. Feelgood e Graham Parker.
Ed è proprio organizzando i tour di questi rocker nei circuiti di locali dell’America profonda che i due hanno occasione di notare il grande lavoro svolto dalle piccole etichette indipendenti, essenzialmente delle agenzie artistiche, che producono singoli e che, soprattutto, fanno e disfano le fortune di nuove ed eccitanti band.

L’idea? Trasportare quel modello in terra inglese. I due affittano il pianterreno di un edificio al 32 di Alexander Street a West London e, ispirandosi allo slang dello show business, scelgono il nome Stiff, un doppio gioco di parole, perché “stiff” in gergo vuol dire “fiasco”, ma il suo significato corrente è “rigido”, “robusto”… insomma un fiasco, sì, ma di quelli che durano!
E dire che, per aggiungere ironia a ironia, Riviera e Robinson pubblicizzano la loro rigida creatura come «l’etichetta discografica più flessibile al mondo».

Nick Lowe, Damned, Richard Hell, Elvis Costello…

Nell’agosto del 1976, il primo singolo marchiato Stiff, con l’insolito codice seriale BUY 1, è So It Goes di Nick Lowe, presto seguito da altri, potenti, 45 giri da parte di Pink Fairies, Roogalator, Tyla Gang e Lew Lewis finché, forse proprio per smentire l’infausto nome scelto, ecco arrivare BUY 6: New Rose dei Damned, destinato a diventare il primo disco punk realizzato nel Regno Unito.

Mentre New Rose si trasforma in un vero e proprio successo, la Stiff si assicura un contratto di distribuzione con la Island, all’epoca l’unica indie che sia riuscita davvero a sfondare, e a conferma dell’aura di “figaggine” da cui è improvvisamente circondata, ecco arrivare il disco successivo: Blank Generation di Richard Hell.

È in questo momento che Riviera nota la demo di un cantante-cantautore destinato a futura gloria.
Il suo nome è Declan MacManus, ma il manager lo trasforma in un impensabile Elvis Costello, con tanto di occhiali alla Buddy Holly.

La genialità grafica di Barney Bubbles

Ed è sempre in questo periodo frenetico, ma siamo già nel 1977, che la Stiff inizia a servirsi di un geniale artista grafico di nome Barney Bubbles.
È lui la mente dietro la copertina alla crema di Damned, Damned, Damned, l’album di debutto dei Damned, così come quella di One Chord Wonders degli Adverts, una copertina incredibile che definirà l’estetica punk una volta per tutte.

È però il lavoro di Bubbles per l’album di debutto di Costello, My Aim Is True, e del suo singolo pilota, Watching the Detectives, entrambi usciti nel 1977, che segna l’inizio di quello che oggi chiamiamo new wave, ben sette mesi prima che i Talking Heads pubblichino il loro primo album sull’altra sponda dell’Atlantico.

«È difficile non sottolineare l’importanza del contributo di Barney al successo della Stiff», confessa Jake Riviera. «Lo conoscevamo già prima di fondare l’etichetta. Aveva lavorato con Dave per i Brinsley Schwarz e con me per Chilli Willi and the Red Hot Peppers».
Forse il più grande artista grafico nella storia del vinile, «Barney aveva qualcosa che non trovi così facilmente. Ancora oggi non posso fare a meno di ricordarlo, sempre», aggiunge commosso Riviera in un pacato riferimento alla prematura scomparsa di Bubbles, avvenuta nel 1983.

Perché più che le copertine, Barney Bubbles creava un intero universo parallelo di poster, pubblicità, loghi e amenità varie che aggiungevano un tocco di artisticità provocatoria, radicale, ricca di doppi sensi alla comunicazione già irriverente della Stiff, trasformando dei semplici strumenti promozionali in qualcosa da esibire con orgoglio.

[continua con la seconda parte]