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Dal pub rock alla new wave senza passare dal via. La Stiff Records è stata la fonte d’ispirazione per tutte le etichette indipendenti, una pioniera, un laboratorio di culto capace di sfornare musica e gadget ancora oggi oggetto di collezionismo accanito. La Stiff aveva tutto quello che serve per conquistarsi l’immortalità (artistica). O forse no? le luci e le ombre di una delle etichette più influenti di sempre.

[di Gareth Murphy – articolo integrale pubblicato su Vinyl n.9 / continua da Quei gran tosti della Stiff – pt. 1/4]

Noi siamo leggenda

Nel 1977 nessun’altra etichetta è sul pezzo come la Stiff, quando Riviera, improvvisamente, lascia.
«Lui era la vera forza propulsiva della Stiff», ammette Paul Conroy, che all’epoca è il direttore generale de facto dell’etichetta. «Era un sabato pomeriggio e stavo assistendo a una partita di calcio. Chiamo in ufficio e mi dicono che Jake se ne è andato! Ricordo di aver pensato: “Oh, no!”, ma non potevamo farci nulla, bisognava guardare avanti o eravamo fottuti.
A quel punto l’etichetta, nel suo insieme, era già diventata più importante dei singoli individui che l’avevano creata».

A problema si somma problema, perché insieme a Riviera se ne va anche Costello.
Con un pizzico di fortuna, però, l’esperienza premorte della Stiff si trasforma in una gloriosa risurrezione grazie a un volto noto dell’era del pub rock come Ian Dury, ex Kilburn and the High Roads.
Come ci spiega Chaz Jankel, polistrumentista e autore dei Blockheads, il gruppo che accompagnava Dury: «Peter Jenner e Andrew King, i manager di Ian, avevano un’agenzia chiamata Blackhill Management, proprio sopra alla Stiff. Avevano messo insieme le 2.000 sterline necessarie a registrare New Boots and Panties!!, ma non erano riusciti a piazzarlo a una major, così hanno fatto un salto al piano di sotto per farlo ascoltare a Robinson. A ripensarci ora, firmare con la Stiff è stato una benedizione».

Ormai trentacinquenne, Ian Dury appare come il classico cockney alla mano, di dubbio talento come cantante e con un fisico che è stato crudelmente devastato dalla poliomielite, tanto che il reparto scouting della CBS lo ha già rimpallato, bollandolo lapidariamente come «inadatto al successo».

Anche nell’era del punk, è difficile immaginare qualsiasi altra etichetta capace di trasformare tanti svantaggi commerciali in una potente e orgogliosa affermazione di identità. Solo la Stiff.
«Il loro lavoro sull’immagine era stupefacente!», ricorda Jankel, lui stesso diplomato alla prestigiosa Saint Martin’s School of Art di Londra. «Sono state le copertine e quel tipo di iconografia a trasformarci in leggende del pop. Mia sorella, a sessantatré anni, se ne va ancora in giro per Londra con un berretto dei Blockheads con il logo creato da Bubbles. Per lei è come una medaglia al valore».

Arriva la New Wave

Tutto inizia con il successo di Sex & Drugs & Rock & Roll.
Quando le 19.000 copie della prima edizione del singolo evaporano in men che non si dica, la Stiff non si preoccupa di fare la ristampa.
A critici, negozi, a chi ne vuole ancora annuncia semplicemente: «Siamo un’etichetta discografica, non un museo!».
La scelta costringe i fan a comprare l’album che, infatti, vende 300.000 copie.

Salvata in extremis dalla bancarotta, il 1978 si annuncia così come l’anno in cui la Stiff diventa la portabandiera di quel movimento che la stampa specializzata inizia a chiamare con insistenza “new wave”, una musica ibrida e con ambizioni artistiche, che sta sopravanzando il rozzo e monotono punk. E la Stiff decolla.

Durante un viaggio in America gli “stiffer” catturano una preda preziosa: i Devo. Purtroppo, dopo tre singoli, che includono il meglio della loro produzione (Mongoloid/Jocko Homo, Satisfaction e – mai nome fu più appropriato – Be Stiff), i rocker di Akron, Ohio, cedono alle tentazioni della Virgin.

Tutti tranquilli, perché nel frattempo la Stiff ha messo sotto contratto Lene Lovich, una cantante molto popolare, il cui album Stateless, trascinato dal singolo Lucky Number, ottiene un successo di portata europea. È però verso la fine dell’anno che l’etichetta conquista la sua prima numero uno nelle classifiche britanniche con la frizzante Hit Me With Your Rhythm Stick di Ian Dury and the Blockheads, forse il più emblematico fra tutti i dischi che ha realizzato. Pubblicato con una copertina astratta disegnata dall’immancabile Barney Bubbles, il singolo raggiunge il milione di copie nel solo Regno Unito.

[continua con la terza parte]