Condividi su

Le canzoni e le storie del triangolo amoroso più celebre del rock. Gli anni di musica, passioni e dolori di Pattie Boyd, da Something a Layla.

di Federico Pucci
intervista integrale pubblicata su Vinyl n.7 (marzo 2019)
[foto: Kristine – licenza: CC BY-NC 2.0]

La letteratura sulle muse del rock è un genere non di rado afflitto dal sessismo. Ispiratrici o sobillatrici, quasi mai queste donne sono raccontate con la loro voce. Non è il caso di Pattie Boyd, che a marzo ha festeggiato il suo settantacinquesimo compleanno, una donna desiderata, contesa e la cui vita, testimoniata dall’autobiografia Wonderful Tonight, rischia di smarrirsi in alcune delle canzoni più belle di sempre.

Nei primi anni ’60 Patricia Anne Boyd era una fotomodella in ascesa, un volto della Swinging London immortalato da John D. Green nella copertina dell’introvabile libro su quella nuova generazione, Birds of Britain. Il 2 marzo del 1964 il regista Richard Lester la chiama per interpretare una studentessa in A Hard Day’s Night, film che avrebbe consacrato la Beatlemania. Su un treno da Londra a Minehead, set di una delle prime scene, l’incontro fatale: gli occhi di velluto di George Harrison, e il suo fare gentile e timido, la colpiscono. A fine giornata, lui le chiede di sposarla: Pattie pensa sia uno scherzo di quei quattro, dotati di un umorismo pesante quanto il loro accento di Liverpool. Pochi giorni prima del suo ventesimo compleanno, Pattie accetta di uscire con George. Al Garrick Club a Covent Garden c’è anche il padre putativo e manager dei Beatles, Brian Epstein, come ad allentare la tensione dei due ragazzi. Sboccia l’amore, e di lì a poco, arriveranno anche le canzoni: If I Needed Someone parla di una potenziale scappatella, resa impossibile dal fatto di essere “troppo innamorato”, ma esprime il medesimo bisogno di supporto di un giovane sottoposto a continue pressioni e intrusioni.

Prima e dopo il matrimonio nel 1966, i due scelgono una vita riservata, tranne per qualche capatina all’Ad Lib o da Annabel’s. Il centro di tutto è Kinfauns, la villa nella cui cucina Pattie ascolta l’embrione di Something. Eppure, la meraviglia di quel brano è l’assenza dell’oggetto d’amore, la sua vaghezza che incanta Frank Sinatra come James Brown. Sicuramente dedicato a lei è però un altro capolavoro, animato da una passione irraggiungibile: quella di Eric Clapton per la moglie del suo amico George.

You Got Me On My Knees

«Vedevo i Beatles come Camelot e io ero Lancillotto», ricorda Clapton, con una similitudine appropriata, nel documentario di Scorsese su Harrison. Nel 1968 Slowhand presta la sua lancia nella colonna sonora di Wonderwall: George si sdebita in Badge dei Cream, e poco prima che quel leggendario trio si sciolga Eric ricambia la cortesia con While My Guitar Gently Weeps.
Intanto, il chitarrista ha notato Pattie e, proprio mentre il castello dei Beatles inizia a crollare, suona la carica. A marzo del 1970 gli Harrison traslocano nella nuova maestosa magione, Friar Park, ma l’equilibrio si sta incrinando sotto vari colpi: l’abbandono della carriera di modella, la morte di Epstein, il timore dell’infedeltà, l’arrivo della spiritualità. Mentre sta aiutando l’amico con l’album All Things Must Pass, Eric invia messaggi a una certa L, ma è nel disco di debutto dei Derek and the Dominos, Layla and Other Assorted Love Songs, pieno di amori non corrisposti, che riversa il suo dramma.
C’è Bell Bottom Blues, che tragicamente dice “non voglio sparire”, mentre l’assolo lento e le armonie vocali quasi evocano il fantasma di Harrison. E ovviamente Layla, ispirata a un racconto arabo: un poema disperato fin dal riff iniziale, ideato però da Duane Allman. Clapton, che intanto si vede con la sorella di Pattie, una sera cede e confessa all’amico, comprensibilmente furibondo. Ma Pattie resiste, nonostante le attenzioni di George siano altrove, tra la meditazione e Maureen Cox, moglie di Ringo Starr.

[Continua con la seconda parte]