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Una lunga chiacchierata con Maurizio Marsico, mister Monofonic Orchestra, un artista che è l’equivalente nostrano di sperimentatori blasonati del calibro di Brian Eno, Mark Mothersbaugh (Devo) o i Residents. E che ci avverte saggiamente: “Il tempo è più gentile con la qualità che non con la popolarità”.

[articolo integrale pubblicato su Vinyl n.14]

Classe 1960, segno zodiacale Toro. Creativo e mercuriale, artista e provocatore. Senza dubbio sopra le righe: sempre e comunque. Questo il ritratto veloce di Maurizio Marsico, noto anche con il nome di battaglia di Monofonic Orchestra (o Monofonicorchestra tutto attaccato, a seconda dell’umore) – ma non solo, visto che ha operato con diversi alias.
La sua discografia è variegata, caleidoscopica, imprevedibile e di reperibilità non semplicissima – soprattutto se parliamo di stampe originali. Il suo nome poi – soprattutto fra i cultori del post punk, new wave, elettronica, sperimentazione e avanguardia made in Italy – è fra i più riveriti e considerati.

Partiamo dall’ora e adesso: è stato pubblicato da poco un tuo LP con Stefano Di Trapani – The Greatest Nots – solo su vinile. Iniziamo da qui: perché un’uscita così, solo su questo supporto?
Perché è un vero e proprio 33 giri e i dischi “veri” per me sono solo quelli in vinile. Perché c’è molta più immaginazione in gioco e i dischi così rappresentano un’esperienza percettiva oltre la fedeltà del suono, che supera il mero ascolto consumistico dei brani. Grandi, belli, profumati e magici… ancor prima di metterli sul piatto e ascoltarli… ne sei già rapito. Con un artwork che possa essere degno di questo nome e note di copertina e credits che finalmente riesci a leggere senza che ti vada insieme la vista. Perché non sono “cosine”, ma hanno peso, consistenza e proprietà tattili. Perché è entusiasmante ascoltarli ed è ancor più entusiasmante farli.

Restiamo su The Greatest Nots. Come nasce la collaborazione con Di Trapani, aka Demented Burrocacao? Come vi siete incrociati e conosciuti?
È nata in concomitanza dell’uscita del mio album antologico The Sunny Side Of The Dark Side (pubblicato da Spittle nel 2017). Stefano mi contattò per invitarmi a presentarlo allo Ué Festival di Napoli. Appena incontrati scattò subito una sintonia musicale incredibile che proruppe nel corso della presentazione stessa in una jam delirante. Poi ci sono state altre occasioni artisticamente stimolanti, e sempre molto divertenti, che ci hanno visto condividere il palco. Quindi il disco MarsicoDiTrapani è stata l’evoluzione più naturale di tutto questo.

Come avete proceduto per la stesura dei pezzi? E le registrazioni?
Siamo arrivati in studio che avevamo un’idea soltanto abbozzata dei brani, ma con nulla di preprodotto al traino. Qualche testo, un paio di sequenze di accordi e gli sketch già abbastanza formati di Savonex (Stefano) e Arròta (io). Tutto il resto è stato creato direttamente in studio a velocità ultrasonica – e tutto a quattro mani e due voci. Ci eravamo portati qualche strumento che abbiamo utilizzato (Nordlead 4, Drumbrute Arturia, Alesis Micron, Mooger Fooger), ma ci siamo divertiti soprattutto a suonare quello che abbiamo trovato in studio inclusi amplificatori Marshall, Gibson Les Paul e tastiere polifoniche vintage Roland e Yamaha. Abbiamo registrato come fossimo una vera e propria band, con molte parti in diretta e pochissime sovraincisioni. Credo che tutto ciò abbia contribuito a definire la particolarissima identità musicale di questo album al tempo stesso conosciuta e ignota, pop e sperimentale, demenziale e lucida con una forte attitudine rock…. senza che di fatto lo sia.

Facciamo un salto indietro nel tempo: cosa ricordi della tua “prima volta” su vinile?
Fu un sogno che si realizzò la prima volta che ne incisi uno. E lo è anche oggi per me, a 40 anni circa di distanza, avere per le mani The Greatest Nots di MarsicoDiTrapani fresco di stampa. Certo, l’album è anche disponibile su tutte le piattaforme digitali… ma vuoi mettere? Anche perché è stato pensato, creato e mixato avendo perfettamente chiaro in mente che sarebbe poi diventato un vinile con copertina gatefold.

Hai una collezione di dischi su vinile o l’hai avuta in passato?
L’ho avuta, grande ed estesa, in passato. Ora in vinile è composta, diciamo, da una scrematura molto selezionata che in definitiva consiste nei miei dischi antichi e recenti, in tutti quelli della label inglese Ghost Box, che adoro (Belbury Poly, Jon Brooks & Co.), e nei vinili dei miei amici musicisti con cui abbiamo la piacevole consuetudine di scambiarceli appena sfornati – come Stefano Ghittoni (Tiresia e Dining Rooms) o le Forbici di Manitù. Già così comunque non è poco: tieni presente che negli ultimi due anni è uscita un sacco di roba in vinile che più o meno mi riguarda. Ad esempio il doppio LP Thalidomusic For Young Babies di Stefano Tamburini (su Plastica Marella) il 7” The End Of The Beginning di Monofonic Orchestra + ODRZ (Luce Sia), la splendida riedizione di Architettura sussurrante in vinile trasparente da 180 grammi e con un packaging straordinario (Lacerba), la compilation Milano After Punk 1979-1984 curata da Fred Ventura per Spittle e la ristampa del disco manifesto della new & no wave milanese Matita emostatica (Materiali Sonori).

Un disco che non hai nella tua collezione e desideri recuperare…
Di altri direi Star Jaws di Peter Gordon. Mio, nel senso di fatto da me, invece My Way/Just Another Way di Maurizio & Maurizio.

[continua con la seconda parte domenica 21]