Condividi su

I Led Zeppelin hanno vissuto un 1969 al fulmicotone: in quei 12 mesi, infatti, hanno inciso ben due 33 giri di successo e tenuto oltre 150 show (nel lotto sono compresi anche cinque blitz per altrettanti tour statunitensi, con cachet da sei zeri per ogni singola serata). Robert Plant, Jimmy Page, John Paul Jones e John Bonham, sono indubbiamente, una delle formazioni più “calde” – se non la più calda – del momento, capaci di insidiare il primato di Their Satanic Majesties, ossia i Rolling Stones.

Ma dopo 12 mesi vissuti a questi livelli di stress (non è facile essere ogni giorno all’altezza della fama di band più selvaggia, trasgressiva e hard sulla piazza: per intenderci, il famoso episodio dello squalo e della groupie è proprio di quell’anno, per la precisione del luglio 1969!), Plant e compari – proprio su stimolo del frontman – decidono di prendersi una sorta di pausa sabbatica durante la quale riposare e, magari, dedicarsi con calma alla stesura di nuovo materiale.

Il buen retiro dei Led Zeppelin

Robert e Jimmy per staccare la spina, nell’aprile del 1970, scelgono una location particolare: un suggestivo cottage del secolo XVIII chiamato Bron-Yr-Aur, nei pressi di Machynlleth (Galles), dove la famiglia di Plant era solita recarsi in vacanza negli anni Cinquanta.

L’atmosfera di condivisione, bucolica e un po’ selvaggia (il cottage non è dotato di acqua corrente né impianto elettrico) ispira i due artisti a gettare le basi per alcuni pezzi con un mood e un taglio decisamente diversi dall’hard rock muscolare dei primi due album. Del resto le lunghe passeggiate coi cani, il lento fluire delle ore senza la costrizione di impegni e la presenza rassicurante delle loro compagne – piuttosto che quella di groupie in cerca di prede da sfoggiare per elevare il proprio status – conciliano un umore decisamente più intimista e riflessivo.

Fast forward: gli Zep fra metà maggio e agosto lavorano a testa bassa, in studio, per completare il loro nuovo disco – l’attesissimo Led Zeppelin III. Ma gli esponenti della critica di settore, alla pubblicazione del 33 giri, non reagiscono esattamente bene: la svolta folk acustica (se si eccettua la tumultuosa Immigrant Song, in apertura, senza dubbio nata coi pezzi dei primi due lavori) non è vista di buon occhio e le stroncature iniziano a fioccare.

Le reazioni all’album

Alcuni addetti ai lavori arrivano ad accusare la band di avere tentato di saltare sul carrozzone del rock acustico e folkeggiante alla Crosby, Stills, Nash & Young – recriminazioni che Page rifiuta in blocco (in un’intervista a Guitar World del 2010 le ha ancora definite “patetiche”), visto che gli strumenti acustici erano già ben presenti nei due album precedenti. Anzi Jimmy, disgustato dall’ondata di critiche e recensioni negative, arriva a maturare una tale avversione nei confronti della stampa specializzata da sottrarsi a interviste e dichiarazioni per quasi 18 mesi a partire da quel momento: lui non vuole avere più niente a che fare con quel mondo.

Decisamente più misurato Plant, che agli attacchi risponde a tono, spiegando ai reporter di Melody Maker a ridosso dell’uscita: «I titoli sulle riviste li potete vedere da voi. ‘I Led Zeppelin si sono rammolliti’ e altra immondizia simile. Ma la verità è che ora che abbiamo fatto questo album puntiamo dritti al cielo. È la dimostrazione che siamo in grado di cambiare. E che ci sono infinite opportunità che possiamo afferrare. Non ci cristallizziamo e questa ne è la testimonianza».

In effetti la storia dà pienamente ragione alla band: a dispetto di chi ha pensato, all’epoca, che Led Zeppelin III fosse un classico esempio di suicidio commerciale, l’album in realtà rappresenta un brillante colpo di genio. In primis per avere impedito al gruppo di fossilizzarsi su un sound asfittico, cosa che avrebbe portato gli Zep a divenire caricature di se stessi, costretti in un limbo di hard rock blueseggiante con poco spazio di manovra; in secondo luogo questo disco ha dato al gruppo la chance di fare un grande passo in avanti a livello di scrittura e personalità. Tutto ciò con buona pace di chi lo bollò semplicemente come “l’album acustico”.

Bonus tracks

LA “ROUND COVER” E MR. CROWLEY

La prima stampa di Led Zeppelin III è caratterizzata da una copertina molto particolare. È animata, grazie a un disco di cartone rotante che mostra immagini cangianti attraverso alcuni fori, diverse a seconda di come lo si ruota.

È opera di Zacron, al secolo Richard Drew, artista multimediale che Jimmy Page aveva conosciuto nel 1963. Proprio Zacron nel 2007, in sede d’intervista, ha spiegato: “Per me quella fu l’occasione perfetta per creare non una semplice ‘custodia di un disco’, ma di vedere davvero l’arte audio e video combinate tra loro. Un’armonia in cui, quando le orecchie avessero smesso di ‘lavorare’, avrebbero iniziato gli occhi. Alcune immagini si combinano con i volti dei membri del gruppo, mentre altri elementi, come spirali e altri simboli apparentemente casuali, sono stati progettati per agire in combinazione con l’esperienza nel suo complesso. La cover di Led Zeppelin III, si avvicina a una grafica di tipo cinematografico, in quanto offre un evento visivo che permette all’osservatore di apportare modifiche in tempo reale”.

Come se non bastasse, la prima stampa del vinile è resa speciale da due scritte incise vicino al centrino, sui lati A e B: “So Mete Be It” e “Do What Thou Wilt”. Unendo le due frasi si ottiene uno dei motti del Thelema, la filosofia dell’esoterista/occultista Aleister Crowley: “Do What Thou Wilt/So Mete Be It” (ossia: “Fai quello che vuoi, così potrai essere”)È una frase nascosta che lancia un messaggio per gli iniziati e i curiosi, dando i primi segnali della passione di Page per Crowley.

L’EDIZIONE ITALIANA

Led Zeppelin III subisce alcuni ritardi nell’uscita anche per via della copertina: Page non è soddisfatto, ma a un certo punto si decide di contravvenire alla sua volontà e procedere con la pubblicazione.

In Italia, per far fronte alle richieste pressanti dei fan e degli acquirenti, si sceglie di fare uscire l’album addirittura con una copertina provvisoria che riporta i volti degli Zep e una dicitura che spiega: “Questa busta realizzata per soddisfare le pressanti richeste [sic] di questo attesissimo nuovo disco potrà essere sostituita presso i rivenditori con la busta definitiva in corso di preparazione”. In pratica un’operazione bizzarra per cui dopo avere comprato il disco si sarebbe potuto ottenere la copertina ufficiale, una volta pronta. Inutile dire che i dischi con la busta provvisoria sono diventati pezzi da collezione che raggiungono buone quotazioni.

[Articolo pubblicato su Vinyl n.13 in edicola dal 15 marzo]