Condividi su

Si può sopravvivere artisticamente ai Sex Pistols? John Lydon ci è riuscito, dando vita a un esperimento musicale e creativo che ancora oggi, dopo 40 anni, non ha esaurito la sua forza propulsiva.

di Sean Egan
intervista integrale pubblicata su Vinyl n.6 (febbraio 2019)

[Continua da John Lydon: il nemico pubblico numero 1 – pt. 1 di 2]

Nella formazione che incide il disco successivo rimane solo Atkins. This Is What You Want… This Is What You Get (1984) è un album, a detta di Lydon, figlio delle ristrettezze: «Era tutto un “buona la prima”… Potevo solo cercare di fare del mio meglio, così ho provato con una musica più orecchiabile e questo mi ha aiutato».
Se non altro, l’intrigante title track, pubblicata come singolo, è un brano eccellente. Tuttavia, le difficoltà economiche incalzano e Lydon, esasperato, si riduce a suonare il repertorio dei Sex Pistols con band occasionali e a offrirsi come supporto per artisti più noti. Non è una plateale svendita dei valori di cui è stato alfiere sin dai tempi dei Pistols? Lui nega fermamente: «Secondo voi l’avrei fatto per i soldi? Davvero?! Dopo i Sex Pistols sì che sarebbe stato facile riposare sugli allori e costruirci sopra una carriera… Ma non l’ho fatto».

Album e l’inno anti-apartheid Rise

Con Album (1986), un titolo che non è certo un inno alla fantasia, Lydon trova un miglior equilibrio tra integrità artistica e avarizia, ingaggiando Bill Laswell come produttore e musicisti di grido come Steve Vai e Ginger Baker, per dare una patina mainstream all’eccentricità della sua arte. «Qualcuno ci aveva messo i soldi, dandoci finalmente la possibilità di registrare un disco con tutti i crismi… hard rock all’ennesima potenza. Davvero, il supporto che ho ricevuto in quel periodo mi ha rigenerato».
Il disco produce anche un singolo di successo, l’inno anti-apartheid Rise, e si insinua nella Top 10 britannica.
Purtroppo i successivi Happy? (1987), 9 (1989) e That What Is Not (1992) vedono però i PiL ricavarsi una loro nicchia nelle parti basse della Top 50: «Non ho mai fatto attenzione alle posizioni in classifica», si schermisce Lydon. «Ed è uno dei motivi per cui i discografici mi considerano una persona con cui è difficile andare d’accordo o lavorare. Personalmente ne sono felicissimo».

Meno male che c’è il burro

Certo, i quindici anni trascorsi nell’oblio dopo l’uscita del suo album solista Psycho’s Path (1997) lo hanno reso molto meno felice, ma sono anche stati una naturale conseguenza del suo voler sempre andare controcorrente.
Come ha superato il momento difficile? Riempiendo il tempo (e le borse della spesa) grazie a internet e alle trasmissioni televisive, ma anche prendendo parte ad altre reunion dei Sex Pistols, dopo l’iniziale Filthy Lucre Tour del 1996. Imprese di quel genere sono state concessioni a quella nostalgia dei bei tempi andati cui i punk si sono sempre opposti con veemenza. Lydon, se non altro, ha mostrato di saper resistere con fermezza alla tentazione di sfruttare economicamente quell’iniziativa per successivi progetti discografici: «Non volevo fare dischi. L’ho detto chiaramente e non ho avuto ripensamenti».
Per fortuna, la soluzione al suo abituale “problema” economico gli è offerta dal burro Country Life, di cui diventa l’improbabile (ma ironico) testimonial per una serie di spot televisivi. È grazie al genuino burro inglese che trova le risorse per dare nuova vita al progetto PiL, tornando a incidere un album con il gruppo dopo circa vent’anni. Nonostante tutti i dubbi e le incertezze, This is PiL (2012) riceve un’accoglienza positiva e dà continuità al progetto.

L’album successivo, What The World Needs Now…, pubblicato nel 2015, vede infatti la stessa formazione del disco precedente, con Lu Edmonds alla chitarra, Scott Firth a basso e tastiere e Bruce Smith alla batteria. «È la prima volta che mi succede», ride Lydon. «È come avrei sempre voluto che fosse. Una volta ottenuta la possibilità di autofinanziarci, tutti i problemi del passato sono spariti».

Il futuro è adesso

Oggi Lydon è decisamente contento. Insieme al tour estivo per il Regno Unito – l’attività live gli consente di raccogliere il denaro necessario a produrre il prossimo disco dei PiL – sta promuovendo una serie di prodotti per celebrare il 40° anniversario di una band che, a un certo punto, non era nemmeno sicura di vedere il 30°.
Tra questi, il documentario The Public Image Is Rotten che, giura lui, è tutto fuorché un’autocelebrazione: «È la storia dei PiL vista attraverso gli occhi degli altri, nemici compresi». Ma è molto contento anche del cofanetto The Public Image Is Rotten – Songs From The Heart (5 Cd, 2 Dvd, 6 Lp), perché «è venuto proprio bene, sono piuttosto commosso. È stato fatto un lavoro decisamente più serio di quanto fatto per il 40° anniversario dei Sex Pistols».

Sorridi alle avversità

Mentre ripercorre le tappe della sua carriera, Lydon ha la tendenza a dipingersi come l’unica persona intelligente in un mondo di scemi. Alla lunga può essere irritante, finché la discussione non tocca la sua salute. In quel caso non si può che ammirare il suo incrollabile buon umore: «Sono sempre stato un tipo malaticcio», ammette senza indulgenza. La meningite che ha contratto da piccolo continua ancora oggi a causargli problemi alla vista. A peggiorare la situazione, recentemente ha scoperto di avere la cataratta. Potrebbe risolverla con un intervento chirurgico, ma dopo che il suo promoter si è sottoposto a un’operazione finita male, che gli ha causato seri problemi di lacrimazione, Lydon ha deciso di lasciar perdere: «È un rischio che non posso correre. Durante i concerti la scaletta cambia continuamente e devo essere in grado di leggere il mio songbook». Come fa a essere così allegro? «Grazie a mamma e papà, mi hanno sempre messo in guardia contro l’autocommiserazione… Sorridi alle avversità». Ecco un consiglio che mai mi sarei aspettato di ricevere dall’ex Johnny Rotten.

[Foto: Connormah – licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 2.0 Generic]