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Jimi Hendrix ha inventato la chitarra elettrica come la conosciamo oggi e creato una musica che a distanza di cinquant’anni mantiene intatta la sua magia. Un po’ stregone, un po’ poeta, il primo bluesman dell’era spaziale

di Riccardo Bertoncelli
cover story integrale pubblicata su Vinyl n.6 (febbraio 2019)
foto: Chuck Boyd © Authentic Hendrix, LLC
leggi online la parte uno della cover story su Vinyl blog
il 1 marzo 2019 trovi in edicola
Axis: Bold As Love, prima uscita della collana Jimi Hendrix Vinyl Collection

Creatività straripante

Una delle ragioni risiede forse nella discografia, così ampia, sbalorditiva, cresciuta iperbolicamente dopo la sua morte; pensate che a settembre del 1970, quando ci lasciò, i dischi ufficiali di Hendrix erano quattro, tre singoli e un doppio, mentre oggi si contano a decine, oltre a innumerevoli testimonianze video.

Forse qualcuno si allarma davanti a quel “tanto”, a quel “troppo” emerso, sfogato, eiettato in nemmeno quattro anni di attività. Il paragone dà le vertigini. Nel tempo in cui oggi un artista di successo pubblica un disco e gira il mondo per promuoverlo, progettandone al massimo un altro, Hendrix compie la sua intera, stupefacente parabola: esce dai sotterranei dov’era rimasto rinchiuso per anni, abbaglia il popolo rock con la Experience, governa la rivoluzione della musica psichedelica, tenta una via di fuga immaginando “un nuovo gospel elettrico”, si sposta verso funk e politica cercando di essere più nero con la Band of Gypsys, sogna una collaborazione con Miles Davis. Suona a Monterey, a Woodstock, a Wight. Si esalta, si dispera, si consuma. Muore.

Jimi per la mia generazione era il futuro, un elettrico Giovanni Battista che annunciava l’avvento di una nuova era musicale. Ma il futuro non era staccato dal passato, un filo tenace e forte legava questo e quello.

In tanti brani davvero, come scrisse un attento recensore dell’epoca, Jimi «ci conduce lungo la storia del blues nel senso più ampio del termine, da Peetie Wheatstraw a John Coltrane, passando per Muddy Waters e B.B. King». Raramente sono citazioni dirette, il più delle volte sono intarsi, variazioni, trasfigurazioni; come nel memorabile caso di Voodoo Chile, il capolavoro di Electric Ladyland, un blues che a staffetta percorre miglia e miglia di terra americana e decenni di black music, partendo dalla preistorica Rollin’ And Tumblin’ per arrivare al Muddy Waters di Still A Fool, di Rollin’ Stone, e spingersi fino al Willie Dixon di Hoochie Coochie Man.

Così, fra le tante cose che accaddero nei quattro formidabili anni della sua predicazione pubblica, ci fu anche l’assunzione di Hendrix nel pantheon dei maestri blues: «il Robert Johnson degli anni ’60», scrisse Tony Glover, il chimico capace di far reagire due elementi mai accostati prima, il blues di Chicago e la fantascienza, inventando un inaudito «interstellar hoochie coochie».

[continua…]

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