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Dopo aver fuso la tradizione folk con il rock and roll e aver dato il La alla rivoluzione del ’68 e ai temi della controcultura, Bob Dylan volta le spalle a chi lo aveva ormai eletto a simbolo. Ricomincia da zero una carriera che attraversa mille altri mondi musicali e culturali, in cui tra alti e bassi è possibile scoprire una vasta gamma di stili e di autentici capolavori, riproposti in edicola, nella nostra Bob Dylan Vinyl Collection.

Continua da Dylan oltre Dylan (pt. 1/2)

[Articolo di Stefano Solventi originariamente pubblicato su Vinyl n.7]

Consumata la cosiddetta fase “religiosa” nella cuspide tra gli anni ’70  e ’80 (che lo vide pubblicare lavori controversi ma pur sempre non privi di gemme), Dylan tornò a convincere il grande pubblico con Infidels (1983), alla cui produzione troviamo nientemeno che Mark Knopfler: otto i pezzi in scaletta e addirittura decine lasciati fuori, a testimoniare quanto la vena creativa fosse tornata a pulsare fortissima. Il bel video di Jokerman, passato in heavy rotation da MTV, suonava come un vero e proprio monito rivolto alla perniciosa superficialità imperante negli Eighties.

Non certo a caso, alla fine del “decennio edonista”, con il mondo intero in subbuglio da Berlino a Piazza Tienanmen, arrivò Oh Mercy (1989), sound e voce mai così profondamente dark per canzoni che scavavano nell’inquietudine contemporanea con una forza inaudita.

Fu prodotto da Daniel Lanois, come il successivo, formidabile capolavoro Time Out of Mind (1997), album densissimo per temi e arrangiamenti, intriso di crepuscolo e destino, nel quale oltre alla meravigliosa Not Dark Yet è presente Highlands, che con i suoi sedici minuti è la più lunga traccia mai incisa da Dylan (celebre il siparietto con un manager della Columbia che suggerì di pubblicarne una versione più breve: «Amico, questa è la versione breve», fu la risposta di Bob).

Notevole anche il successivo Love and Theft (2001), uscito il fatidico 11 settembre 2001 e prodotto da tale Jack Frost, ovvero Dylan medesimo: attraversato da una vena blues d’antan, unisce e mischia romanticismo indolenzito e ombre nervose grazie a pezzi da brividi come Mississipi e High Water.

Lungo questa falsariga, il nuovo millennio ha visto Dylan riportare ancora e sempre di più tutto a casa grazie ad album capaci di scomodare fantasmi swing e folk-blues, come benissimo ha saputo fare Tempest (2012), sorta di carotaggio nella cultura popolare e letteraria USA con il cuore avvolto di cupi presagi.

Bellissimo e sorprendente è pure l’omaggio ai suoi amori musicali di Shadows in the Night (2015), che lo vide reinterpretare classici (di Sinatra e Irving Berlin tra gli altri) come un crooner sull’orlo della catastrofe. Oltre il Nobel e la propria leggenda, Dylan prosegue oggi il suo percorso nell’immaginario profondo, la sua sfida al tempo, il suo raccolto e il suo racconto. Un viaggio infinito, come quel tour che coincide sempre più con la sua vita.

[foto: ©BaronWolman]