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All’arrivo degli anni ’80 David Bowie è già un veterano. Il fragile e misterioso Ziggy Stardust si è tramutato in un genio, in un profeta assoluto del trasformismo rock. Generatore e anticipatore di musiche che altri sentiranno solo molto dopo. Eppure qualcosa gli sfugge. Ancora per poco

di John Earls – Stefano Solventi
cover story integrale pubblicata su Vinyl n.7 (marzo 2019)

[Continua da David Bowie, let’s dance – pt. 3]

La stessa EMI che, si dice, lo ha messo sotto contratto per una cifra pari a 17,5 milioni di dollari, viene presa in contropiede da un tale successo e, naturalmente, non ha alcuna intenzione di permettere che David Bowie si prenda un’altra pausa di tre anni prima del disco successivo.

Carlos Alomar, storico chitarrista di David sin dal 1975, così ricorda la genesi di Tonight: «Avevamo iniziato il tour per promuovere Let’s Dance e non avevamo mai vissuto un periodo così. I promoter non sapevano più che cosa fare, avevano pensato a teatri da 5.000 posti e adesso cercavano disperatamente arene da 60.000! David, poi, investiva parecchio del suo denaro per rendere lo show ancora più grande, perché la casa discografica non lo pagava con puntualità, mettendolo in difficoltà. Veniva da noi con i modellini in cartone per mostrarci le sue idee sulla scenografia. Aveva il controllo di tutto, lavorava con i designer, con i coreografi, con tutti… e nel frattempo cercava di barcamenarsi con la vita famigliare. Il suo sogno si stava realizzando, ma tutta questa frenesia si ripercuoteva in ogni aspetto della sua vita. Andavamo al massimo, David sembrava impazzito… e invece la casa discografica che cosa fa? Ci fa sospendere il tour per riportarci in studio a registrare un altro disco!».

Con cinque cover e quattro brani originali Tonight, per ammissione dello stesso Bowie, è un album di routine e, nonostante la gran fretta imposta dall’etichetta, impiegherà molto tempo per venire alla luce, se paragonato alla velocità con cui è nato Let’s Dance.

La scelta di Derek Bramble come produttore è infelice. È un professionista emergente ma di scarsa esperienza. «Derek era una brava persona», ricorda Hugh Padgham, che di Tonight è l’ingegnere del suono, «ma aveva prodotto solo un paio di singoli. Quando ha iniziato a criticare il cantato di David, io e gli altri ci siamo detti: “Un momento, ma questo chi si crede di essere?”. In trentacinque anni di carriera non ho mai lavorato con un cantante migliore e più veloce di David, eppure Derek riusciva a trovare sempre qualche motivo per fargli rifare le parti. Per un artista con l’esperienza di Bowie sentirsi dire che c’è qualcosa che non va con la voce… be’, diciamo che si è un po’ irritato». Il lavoro si interrompe per due settimane e alla ripresa Bramble… è sparito. Ed è allora che entra in scena Tina Turner. La title track dell’album, un brano del periodo berlinese in origine cantato da Iggy Pop in Lust for Life, è già stata registrata, ma Tina, grazie al successo di Let’s Stay Together, sta vivendo un nuovo momento d’oro della carriera e, quindi, perché non farli cantare insieme?».

«Tina era disponibile», ricorda Alomar, «sembrava fosse destino. L’incontro tra due icone della musica. Per David lavorare con Tina Turner è stato un momento epico, non meno di quello passato con John Lennon». Non tutti ne sono entusiasti, ma Alomar in quel duetto coglie significati che vanno oltre la musica in sé: «David e Tina che duettano è uno di quei momenti che capitano una volta nella vita. Tina era contenta, David era contento, anch’io ero contento, tutti eravamo contenti… I critici, con le loro chiacchiere, sono arrivati solo dopo. Certo, a posteriori, anche David ammetteva che in Tonight c’erano brani che non gli piacevano e che aveva eseguito un po’ come riempitivi, tipo God Only Knows, ma nel complesso non era turbato dalla critica, perché era conscio di aver dato il massimo. Eravamo stati trascinati in studio e ci era stato ordinato di suonare! E noi avevamo fatto il meglio che potevamo».

Con tutti i difetti che gli possono essere imputati, Tonight contiene però un indiscutibile classico: Loving The Alien, il cui arrangiamento di archi è opera nientemeno che di Arif Mardin, il grande produttore di Aretha Franklin, Diana Ross e Carly Simon. «È un arrangiamento stellare», sorride Alomar, «Arif ha dato a Loving The Alien un’anima».

[Continua il 17 aprile con la parte 5]