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Ha realizzato alcune tra le copertine più iconiche di tutti i tempi. E non poteva essere diversamente. Paul Marechal, collezionista ed esperto dell’arte di Andy Warhol, ci guida alla scoperta della passione (non tanto segreta) del genio della pop art: la musica.

di Teri Saccone
intervista integrale pubblicata su Vinyl n.8 (maggio 2019)

[Continua da Andy Warhol: la cover star del vinile – pt. 1 di 2]

Rintracciare alcune delle vecchie copertine di Warhol, però, è stato tutt’altro che semplice. «La più difficile da trovare è stata senza dubbio quella di Night Beat, un dramma radiofonico con Frank Lovejoy. Se ne conosceva un solo esemplare. Sono venuto in possesso della mia copia grazie a uno scambio con un collezionista della Pennsylvania. Lui non sapeva nemmeno che fosse stata realizzata da Warhol. Adesso lo sa, ma è comunque soddisfatto perché in cambio gli ho dato un acetato del 1948 con la puntata pilota di Night Beat che non pensava nemmeno esistesse su disco. Avevo deciso di acquistarlo perché era l’oggetto più vicino a Night Beat in cui mi fossi imbattuto. Ma non sospettavo che fosse una tale rarità. In sostanza ci siamo scambiati due oggetti estremamente preziosi».

Sempre sorprendente

A parte la passione sfrenata per la musica, che cosa spingeva Warhol alla creazione delle copertine?
Secondo Marechal «in termini di sviluppo artistico, lavorare sulle copertine ha significato coltivare un talento estremamente raro. La capacità di dare un’immagine alla musica è una delle sfide più difficili per un artista. Bisogna saper illustrare la musica rispettandone lo spirito, senza imporre al potenziale acquirente del disco la propria visione. Inoltre, realizzare copertine di dischi ha consentito a Warhol di venire in contatto con un pubblico completamente nuovo. Diverso da quello che incontrava nei musei o nelle gallerie d’arte. In questo senso è stato davvero un artista pop, perché più di ogni altro ha saputo rendere accessibile la sua arte a un pubblico molto ampio».

Ma qual era l’aspetto che più lo attraeva nella creazione di una copertina?
«Warhol considerava le copertine una sfida creativa, ma voleva anche divertirsi, renderle in un certo senso “giocose”. Pensiamo a quella di Sticky Fingers, in cui potevi abbassare la cerniera dei pantaloni. O, ancora, alla banana sull’album dei Velvet Underground, che si poteva sbucciare rivelando il “frutto” rosa all’interno. Oppure persino quella di The Academy in Peril di John Cale, in cui devi aprire il folder per liberare le foto dal loro telaietto da diapositiva».

I tre approcci di Warhol

Nella sua analisi Marechal ha identificato alcuni elementi e pratiche ricorrenti nelle opere di Warhol.
«Aveva una capacità immensa, direi un vero talento, nell’imbrigliare la propria sensibilità artistica e metterla a servizio del prodotto. Quest’ultimo non era mai un pretesto per fare sfoggio della propria arte. Al momento di creare una nuova copertina, Warhol utilizzava tre diversi approcci. Quello più semplice consisteva nel ritrarre i musicisti mentre stanno suonando, la scelta preferita nei suoi lavori degli anni ’50. Il secondo, il più difficile e che ha utilizzato per lo più per le cover degli anni ’60 e ’70, consisteva nello sviluppare un concetto che non avesse una relazione specifica con il contenuto musicale dell’album. Pensiamo, per esempio, alla banana dei Velvet o alla zip degli Stones. Il terzo è il classico ritratto dell’artista, che ne sancisce lo status di celebrità, come nel caso di John Lennon, Liza Minnelli, Aretha Franklin o Paul Anka. È il metodo dominante nelle copertine degli anni ’80».

Solo quindicimila dollari

Quali erano le copertine preferite da Warhol?
Marechal prova a sbilanciarsi. «Credo che quella di Sticky Fingers fosse tra le sue favorite. Non solo per le allusioni sessuali o per la trovata della cerniera. Ma anche perché è lui stesso a citarla in un’intervista risalente agli anni ’70. Raccontava che gli Stones l’avevano pagata pochissimo, 15.000 dollari. Quando, invece, avrebbe dovuto chiedere un centesimo per ogni copia del disco venduta, visto che ne avevano vendute velocemente almeno un milione. Io, personalmente, preferisco quelle realizzate negli anni ’50, che ritraggono i musicisti mentre suonano. Per esempio, Kenny Burrell con la sua chitarra, Artie Shaw con il suo clarinetto, Johnny Griffin con il sassofono e Joe Newman alla tromba. Sono copertine vivaci e interessanti, perché era abbastanza raro vedere rappresentare il movimento in un’illustrazione. E in particolare sulle copertine dei dischi, in cui si prediligevano le pose statiche. Erano anche un primo indizio dell’interesse di Warhol per il cinema, che sarebbe esploso un decennio più tardi. Osservando queste copertine, si capisce quanto fosse interessato all’azione».