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In concerto a Milano, aspettando la celebrazione dei 40 anni. Ricordando Live at the Marquee, da cui tutto è partito. Abbiamo parlato con Dennis Greaves, voce e chitarra della band

Era il 1977. Sono passati 40 anni dalla nascita del gruppo ed eccoli ancora qui, sul palco dello Spirit De Milan con tutta la loro energia e voglia di far arrivare la loro musica. È lontano l’anno in cui decisero di sciogliersi a causa di troppe divergenze nella band, probabilmente dovute a un successo troppo improvviso. Dal 1980 al 1982 tre album e più di 500 concerti che portarono Dennis e Mark Feltham a percorrere due strade diverse. La reunion è del 1990, nuovi componenti, nuovi album. Il 26 novembre arrivano a Milano, in una serata inserita nel programma della Music Week e ripercorrono la loro carriera in musica. Partita da quel Live at The Marquee che trovate anche nella nostra collezione Blues. Ecco cosa ci ha raccontato Dennis.

 Felici di essere in concerto in Italia?

«Abbiamo sempre amato suonare nel vostro paese, fin dalla prima volta in cui siamo stati qui per la promozione di Live at the Marquee, nel 1980. Quella volta suonammo a Milano e Roma. Da quelle date è nato l’amore con il pubblico italiano che da allora ama il nostro stile di Blues.»

Nella nostra collezione è presente proprio quel disco, Live at the Marquee. Cosa ci puoi raccontare di questo album?

«Avevamo appena firmato con A&M records ma non eravamo pronti per andare in studio. Venne fuori il tour con i Kinks e la casa discografica aveva bisogno di qualcosa da promuovere. Così nacque l’idea, ispirata anche dai Yardbirds, di registrare live nel miglior club di R’n’b di Londra. Il The Marquee studio era dietro a quel club, fu facile farlo lì. Registrammo due notti in luglio, l’album in autunno era pronto. Il resto, come si dice, è storia.»

Hai un ricordo speciale di quel periodo?

«Sì, l’atmosfera era pazzesca. La scena musicale live di Londra in quel periodo era elettrica. Trovavi musica e band a ogni angolo di strada, nei pub, nei teatri. Credo che il merito di aver reso l’album quello che è sia il pubblico di quelle due notti. Sono con noi per tutto il tempo. È quasi come una partita di calcio.»

Cosa ricordi degli inizi della vostra carriera?

«Avevo poca esperienza ma ero ambizioso. L’unica cosa che volevo era imparare a suonare il Blues con la mia chitarra. Volevo suonarlo, come i miei eroi di Chicago. E quello era il tempo in cui il Punk era al suo punto massimo. Abbiamo fatto 200 concerti in un anno e firmato con Derek Green, una delle migliori case discografiche del mondo. Il nostro sogno era diventato realtà.»

Oggi sei diverso?

«Sento lo stesso tipo di ambizione, sono solo un po’ più vecchio ma amo ancora quello che faccio.»

E Londra è cambiata?

«È più commerciale e sovrapopolata. Ma la musica è ancora nelle strade. Costa solo molto di più.»

È un ottimo periodo per i vinili. Cosa pensi di questa ripresa?

«È guidata dai giovani! La nostra generazione sta rispolverando i vecchi giradischi tenuti in soffitta. Sono felice di aver conservato tutti i miei dischi. Semplicemente alcune cose si mantengono nel migliore dei modi così come sono state inventate.»

Com’è fare musica per voi, oggi?

«Più bello che mai. Abbiamo la nostra grande fan base, andiamo in tour in tutta Europa. I social ci aiutano a stare a stretto contatto con i fan.»

Progetti per il futuro?

«Stiamo scrivendo un nuovo album che uscirà nel 2019, data in cui festeggeremo i 40 anni di Nine Below Zero. Siamo molto eccitati e questo progetto ci dà grande energia. Abbiamo intenzione di stare in giro ancora per qualche anno! Anzi per molti ancora!»