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Alla riscoperta di Nick Drake. Un artista originale, un’anima fragile, un cantautore di culto.

di Jonathan Wright
testo integrale pubblicato su Vinyl n.8 (maggio 2019)

A luglio di quest’anno saranno passati cinquant’anni dall’uscita dell’album di debutto di Nick Drake, Five Leaves Left e sembra incredibile che, all’epoca, in così pochi si fossero accorti del suo talento. Oggi i suoi dischi vendono ogni anno migliaia di copie. Nel 2005 BBC Radio 2 gli ha addirittura dedicato un documentario, Lost Boy: In Search of Nick Drake, la cui voce narrante è niente meno che Brad Pitt.

Oggi Drake, che era nato nel 1948, è un artista affermato e riceve dal grande pubblico quel rispetto, purtroppo postumo, che i suoi colleghi musicisti come John Martyn, Richard Thompson, Danny Thompson, John Cale e il leggendario produttore Joe Boyd non hanno esitato a tributargli da vivo.

Ma come mai Drake non è riuscito a fare breccia immediata nel pubblico? Perché i suoi dischi non hanno ottenuto il meritato successo al momento dell’uscita? Perché la sua musica è stata riscoperta solo dopo la sua morte, avvenuta nel 1974, a soli ventisei anni, per un’overdose di antidepressivi?

La sua musica si offriva all’ascolto

Un primo indizio lo fornisce proprio la reazione che ebbe Boyd, il suo produttore, quando ascoltò la bobina con la prima demo di Nick, quella che includeva The Thoughts of Mary Jane e Time Has Told Me.
Nelle sue memorie White Bicycles: Making Music in the 1960s, Boyd scrive: «La sua musica era discreta, non cercava di catturare l’attenzione dell’ascoltatore, piuttosto si offriva all’ascolto. Il suo modo di suonare la chitarra era così pulito che ci voleva del tempo per apprezzarne la complessità». Le parole di Boyd colgono splendidamente la natura sottile della sua musica.

Può ben essere che Nick Drake non vi catturi, che vi scivoli addosso, finché un giorno, improvvisamente, una sola canzone schiude magicamente lo scrigno che racchiude il resto dei suoi capolavori. Su altri, però, l’effetto è stato più fulmineo.
È il caso di Green Gartside, il leader degli Scritti Politti. Nel 1969 acquista una collezione della Island Records, Nice Enough To Eat, «ma solo perché costava meno della metà di un normale album», ricorda.

Una ricerca solitaria

Il disco, una raccolta realizzata a scopo promozionale, contiene tracce di artisti del calibro di Jethro Tull, Free e Traffic, ma è Time Has Told Me di Drake a catturarlo, lasciandolo «assolutamente stupefatto. L’armonia e la melodia di quel brano sono semplicemente splendide e, anche se a volte Drake è un po’ retorico, quasi vittoriano, il testo di Time Has Told Me è davvero bello. È una canzone quasi perfetta, portata a compimento dalla chitarra di Richard Thompson».

In anni recenti, su richiesta di Boyd, Gartside ha eseguito le musiche di Way To Blue, lo spettacolo ideato come tributo a Drake e accompagnato da un’omonima compilation. Secondo Gartside «le canzoni di Drake descrivono alla perfezione le difficoltà del diventare adulti e le grandi delusioni che ne conseguono». E non solo da un punto di vista lirico.
In Drake, musica e parole sono un tutt’uno teso a creare un tono, un’atmosfera. «Molto di ciò è da ricercare nel suo rapporto con la chitarra, nelle accordature che usava, nella sua maniera di toccare le corde, nelle diteggiature», precisa Gartside. «La sua musica è il frutto di ore e ore spese in una ricerca solitaria. Non è il prodotto di uno sforzo collettivo, non è il suono di qualcuno che voglia suonare in una band o mettere insieme giusto quel minimo di accordi che consentano di suonare in pubblico».

Musica, passione di famiglia

Come ha fatto Drake a sviluppare queste sue peculiarissime abilità musicali?
Nicholas Rodney Drake nasce il 19 giugno 1948 a Yangon, in Birmania, ma si trasferisce presto nel Regno Unito, dove il padre Rodney viene nominato direttore generale della Wolseley Engineering, una società di meccanica. Drake cresce così nell’ambiente tipicamente upper class di Far Leys, un’imponente ma graziosa dimora di campagna a Tanworth-in-Arden, nel Warwickshire.

Entrambi i genitori sono appassionati di musica. Sua madre Molly, in particolare, è poetessa e autrice di canzoni e, sebbene non abbia mai pubblicato alcunché in vita, è autenticamente dotata.
Lo dimostra Molly Drake, una collezione di registrazioni casalinghe risalenti agli anni ’50 pubblicata nel 2013, contenente canzoni che nella loro natura umbratile e delicata sembrano presagire le successive opere del figlio.

Qualcosa che sfugge

Nick frequenta una scuola privata, il Marlborough College, dove suona in un gruppo chiamato The Perfumed Gardeners. È anche un buon atleta, un velocista, e gioca a rugby. Eppure in lui c’è sempre qualcosa che sfugge, anche a coloro che più gli sono vicini. In uno dei suoi rapporti, il preside scrisse «che nessuno di noi sembra conoscerlo a fondo», ricordava il padre. «E io credo che avesse ragione. Nonostante tutto, nessuno è mai riuscito a conoscerlo veramente».

Quando si trasferisce a Cambridge per studiare letteratura inglese, Nick preferisce rimanere nella sua stanza invece di continuare a praticare gli sport in cui eccelle. In effetti, è un personaggio così schivo che è incredibile il solo pensare che qualcuno sia riuscito a scoprirlo. Invece accade l’impensabile. Nel febbraio del 1968 Nick fa da supporto a un concerto di beneficenza di Country Joe and the Fish che si tiene alla Roundhouse di Londra e tra il pubblico c’è anche Ashley Hutchings, il bassista dei Fairport Convention.
Hutchings rimane impressionato dall’abilità di Drake alla chitarra, ma non solo da quello. Nick «sembra una star», un’impressione che il bassista condivide con Joe Boyd, il produttore dei Fairport Convention. Quello con Boyd è il contatto fondamentale per il decollo della carriera musicale di Drake che, paradossalmente, avrà proprio nella sua incapacità di “stabilire un contatto” il proprio tallone d’Achille.

[continua sabato 8 giugno con la seconda parte]