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Protagonista di una delle stagioni più viscerali e partecipate della musica popolare italiana, il cantautore romano ci ha riportato alla bellezza di fare e ascoltare musica con sincerità. Abbiamo chiacchierato con Francesco De Gregori in attesa di rivivere le emozioni dei suoi album nella nuova collezione De Agostini

[di Claudio Todesco – articolo integrale pubblicato su Vinyl n.10 / continua da Francesco De Gregori: il tempo ritrovato – l’intervista pt. 3/4]

Ti manca la risposta forte del pubblico?
All’inizio dell’intervista ti dicevo che non ho mai avuto una committenza da parte delle case discografiche. In realtà, ho sempre pensato di avere una committenza da parte del pubblico.
Oggi questa committenza non la sento più, anche per ragioni anagrafiche. I giovani mi vedono come un signore di quasi settant᾿anni, magari mi rispettano come rispettano il panda, o magari ascoltano volentieri La donna cannone e Rimmel perché gliele hanno fatte sentire i genitori, ma le cose nuove che faccio – vorrei dire che facciamo, includendo anche gente che riempie gli stadi come Ligabue e Vasco – inevitabilmente sono meno appetibili rispetto agli anni in cui c’era questo rispecchiamento nel pubblico, nella situazione sociale e sentimentale.
Dico sentimentale perché il ’68 è stato anche un fatto sentimentale, come tutto quello che è venuto dopo: il modo di vivere la vita, il rapporto di coppia, c’era questo afflato comune che ci univa. Ecco, questo non lo sento più. La spinta a scrivere canzoni è diminuita anche per questo.

Non ne fai quindi una questione di mercato, di vendite?
No, del mercato me ne sono sempre fregato. Non sono un uomo ricco, ma ho guadagnato abbastanza nella vita anche per fare un disco e gettarlo via. Ho fatto questa cosa stranissima con Mimmo Paladino, Anema e core, che dal punto di vista economico è stato un bagno di sangue.
Ci ho investito un sacco di soldi sapendo che non li avrei mai ripresi, ma era un regalo che mi sono voluto fare, per la gioia di cantare con mia moglie e per fare un’operazione nuova. Non me ne frega niente della risposta in termini economici. È la risposta in termini di attenzione che mi frustra.

I gusti sono estremamente frammentati, oggi.
I giovani vogliono ascoltare altro. Se scrivessi oggi La donna cannone, le radio non la passerebbero e i discografici mi garantirebbero ventimila copie. Forse i concerti sono l’unica cosa che ancora mi attizza. Mi consente di sperimentare e lì il pubblico ce l’ho davanti, sono quelli che vogliono De Gregori, c’è un rapporto di complicità.

Che pubblico hai?
Molto attento ed esigente. È una costante, da quando ho iniziato nelle balere solo con la chitarra al tour con l’orchestra. È un pubblico ben disposto che non applaude un divo, ma una persona da cui si aspetta delle cose nelle successive due ore. È un bel patto da fare con il pubblico. Se faccio un brutto concerto, la gente lo sa e trova anche il modo di farmelo sapere.

E quindi, non stai scrivendo nuove canzoni?
Non scrivo una canzone nuova dal 2012 e questo la dice lunga sull’ispirazione. Penso che ne scriverò ancora, però.

[foto: Andrea Sartorati – licenza: Attribution 2.0 Generic (CC BY 2.0)]

Da Rimmel a Titanic, da La donna cannone a De Gregori canta Bob Dylan – Amore e Furto.
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