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Alla fine del loro primo concerto in assoluto, tenutosi il 16 agosto 1969 all’Auditorium Theatre di Chicago, i Crosby, Stills, Nash & Young guardano la prossima tappa sul planning del loro tour. Vedono Woodstock segnato per il giorno successivo. Non hanno ben chiaro che cosa li aspetta. La leggenda narra anzi che i quattro non sapessero nemmeno dove esattamente fosse questo evento di cui tutti parlavano!

L’ENTRATA IN SCENA

Per chiedere spiegazioni, però, è ormai troppo tardi. Nemmeno 24 ore dopo, una band che aveva trovato la sua prima formazione stabile solamente una manciata di settimane prima, con l’arrivo di Young nel maggio dello stesso anno, e che aveva raggiunto per la prima volta la sinergia dal vivo in una gig la notte precedente, sale sul palco di Woodstock alle tre del mattino dell’ultimo giorno del Festival per un battesimo del fuoco lungo sessanta minuti.

Inizialmente, sul palco si presentano solo Crosby, Stills e Nash, e lo spalancarsi del pubblico immenso è per loro così sconcertante da far dire a Stephen Stills: «Questa è solo la seconda volta che noi suoniamo insieme, ce la stiamo facendo addosso dalla paura!» .

ESIBIZIONE: SET N.1

L’esibizione durerà dalle tre del mattino alle quattro, e sarà divisa grossomodo in due set: uno acustico, il primo, in cui Neil Young apparirà solamente dalla quinta canzone in poi, e uno elettrico, per il quale verranno appositamente assemblati sul palco una batteria e un basso.

La performance, dunque, inizia con il trio Crosby, Stills e Nash, poco dopo la loro celebre frase di presentazione, con una versione allungata di Suite: Judy Blue Eyes, una melodia d’amore composta da Stills che introduce l’approccio soft e armonico del set acustico.

I tre musicisti cantano all’unisono, stregando la platea, per poi invece affrontare le note di Blackbird, un tributo ai più clamorosi assenti del Festival, i Beatles. Con Helplessly Hoping, Guinnevere e Marrakesh Express, però, il trio ritorna immediatamente al materiale originale appartenente al loro primo ed eponimo disco.

La prima è ancora una volta una composizione di Stills, sempre dominata dalle melodie del cantato, mentre Guinnevere è una deliziosa ballata d’amore che Crosby ha tinto di sinistre note jazz. Marrakesh Express è un tripudio di immagini esotiche e mediorientali. Un preludio perfetto a 4 + 20, un inedito che nessuno in tutta la platea poteva aver sentito, visto che sarebbe uscito per la prima volta nell’album Déjà Vu (1970).

Appena scemano le note di 4 + 20, Neil Young fa il suo ingresso sul palco per riprendere il set da dove i suoi compagni lo avevano abbandonato. Crosby e Nash lasciano il palco al duetto di Young e Stephen Stills, che per qualche motivo l’annunciatore presenta come i Buffalo Springfield, la precedente band che i due musicisti avevano condiviso fino al ’68.

Dell’esibizione di Stills e Young, così come del resto del set acustico del concerto, oggi non rimane quasi nulla, fatta eccezione per Mr. Soul.

SET N.2

La band si presenta nuovamente al completo, questa volta di tutti e quattro i suoi elementi cardine, per l’inizio del set elettrico, che prevede altri cinque classici del loro repertorio, Pre-road Downs, Long Time Gone, Bluebird Revisited, Sea of Madness e Wooden Ships.

Find the Cost of Freedom e 49 Bye-byes, altri due brani acustici, sono le canzoni che la band sceglie per i propri encore.

Nonostante sia stata una performance a dir poco eccezionale, soprattutto per una band con così pochi concerti alle spalle, bisogna ricordare che tutti e quattro i musicisti che la costituivano erano però già più che abbondantemente formati e affermati. Essere soddisfatti di una performance così tesa e azzardata, perciò, non è facile dal loro punto di vista. Il più insoddisfatto è senza dubbio Neil Young, che al termine dell’evento cercherà in tutti i modi di far rimuovere sia il proprio nome dalla colonna sonora sia la sua presenza dal film di Woodstock.

Articolo integrale pubblicato su Vinyl n.7 (marzo 2019)
[Foto: CMA-Creative Management Associates/Atlantic Records]