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La cronaca lo rese frenetico, la storia ce l’ha restituito mitico e il rock ne è stato la metafora esemplare. Ciò che accadde in politica, nelle arti e nella società, riletto cinquant’anni dopo, sembra veramente troppo per soli dodici mesi di un tempo senza Internet, cellulari e social media. Eppure.

[di Giampiero Di Carlo – cover story integrale pubblicata su Vinyl n.9]

Nel 1969 due astronauti, in una sola settimana, scavarono un profondo solco nello spazio-tempo.
Il primo, Major Tom, ascese verso la gloria l’11 luglio, destinato a fluttuare per sempre – malinconico e tragico – tra le note di Space Oddity. Il secondo, Neil Armstrong, incollò 500 milioni di persone a piccoli televisori in bianco e nero quando il 20 luglio toccò veramente il suolo lunare e pronunciò poche emozionanti parole imperiture.
Due eroi di quella fantascienza ingiallita che oggi è modernariato, uniti tra fantasia e realtà nel sogno tecnologico di una generazione tutto intorno alla quale già si sgretolavano le certezze.

I Sixties stavano per venire archiviati. La loro sarebbe stata la più ricca eredità musicale possibile e il 1969 stava già gettando un ponte verso il futuro del rock con un ideale e imprevedibile passaggio di consegne tra i Beatles ed i Led Zeppelin.
Ma quella degli anni Sessanta sarebbe anche stata una dote pesante da smaltire con cui non solo i baby boomer avrebbero fatto i conti, travolti da alcuni dei maggiori scossoni occorsi dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.
La grande utopia hippie andò in frantumi quando la vita decise di mettersi di mezzo, ma mise anche in moto molti dei cambiamenti dei quali viviamo ai giorni nostri.

Uno spartiacque temporale

Gennaio si presentò subito scoppiettante. Quando il 30 i Fab Four concessero quello che sarebbe stato il loro gran finale sul tetto della Apple a Savile Row, il mondo aveva già assistito al tragico show di Jan Palach che si era dato fuoco a Praga il 19; aveva osservato Richard Nixon prestare giuramento come 37° presidente americano il 20; ed in poche settimane Yasser Arafat sarebbe diventato presidente dell’OLP in Palestina, Golda Meir la prima presidente donna di Israele e Charles De Gaulle avrebbe abbandonato sdegnato la presidenza francese sconfitto da un referendum.
Se ancora aleggiavano le scorie del ‘68, i prodromi degli anni ‘70 erano già dietro l’angolo: la rivoluzione sarebbe durata ancora molto, il Vietnam avrebbe avvelenato gli Stati Uniti, la politica si sarebbe complicata in Europa e, in Italia, il movimento studentesco avrebbe passato il testimone alle lotte operaie.

Uno spartiacque temporale si apprezza solo a posteriori ma, nell’attualità, lancia segnali continui e molteplici. Vive di opposti. Vede il prima e il dopo schierarsi l’uno contro l’altro. E riordina la società attraverso la cultura.

Da Butch Cassidy a Easy Rider

Il 1969 celebrerà se stesso quest’anno al cinema, grazie a Quentin Tarantino che l’ha scelto come sfondo del suo nuovo C’era una volta a Hollywood. Ma nel 1969 al cinema accadeva che Il Grinta, tradizionale e reazionario come John Wayne, duellava con due versioni moderne e realiste del western, come Butch Cassidy And The Sundance Kid, svecchiato dal carisma di Newman e Redford, e Il mucchio selvaggio di Sam Peckinpah, per nulla disposto a fare sconti alla violenza.
Agli Oscar Oliver! sconfiggeva 2001 Odissea nello spazio, ma nelle sale il successo e il dibattito erano tutti appannaggio di Easy Rider e di Un uomo da marciapiede (Midnight Cowboy avrebbe fatto incette di statuette nel 1970, segnando una svolta anche all’interno della Academy).

Senza clamore, nel frattempo si seminava per i miti che sarebbero venuti: si pensi a Prendi i soldi e scappa, con il genio comico di Woody Allen pronto a mettere alla berlina le nevrosi del decennio successivo.
O all’irruzione sulla scena – a passo ancora più felpato – nientemeno che di Don Vito Corleone, arrivato in libreria con Il Padrino di Mario Puzo: quel romanzo fondamentale per il cinema degli anni Settanta uscì simultaneamente a veri capolavori letterari, quali Mattatoio n. 5 di Kurt Vonnegut (manifesto pacifista e testo cult in ogni college) e Il lamento di Portnoy di Philip Roth, un pezzo d’arte.

[foto: NASA – licenza: pubblico dominio]

[continua con la seconda parte mercoledì 24]