Snobbati per decenni, oggi sono un vero e proprio fenomeno di culto e ci dicono molto di come sia cambiato il modo di fare musica e di ascoltarla

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Goodbye Yellow Brick Road, Purple Rain, Kind Of Blue… i titoli che facilmente si prestano a pubblicazioni colorate non sono pochi, tanto che oggi, in tempi di crisi discografica, le ristampe in vinile colorato si sprecano.

Il disco dai toni più vivaci però non è nuovo: ha una storia persino più antica del 33 giri. Risale infatti ai primi del Novecento e al cilindro di Edison, a quando gli Amberol Records blu hanno rimpiazzato quelli in cera nera. Attorno al 1916 l’etichetta americana Vocalion ha cominciato a produrre dischi di alta qualità in gommalacca rosso-marrone, poi è stata la volta del color cioccolato della Perfect Record e della gommalacca blu della Columbia negli anni ’30. E dal 1949 poi la RCA Victor ha cominciato a produrre i primi 45 giri, colorandoli in base al genere (verde per il country-western, arancione per l’R&B, rosso per la classica…).

Insomma oggi non abbiamo inventato nulla. O forse sì… Quelli della prima metà del Novecento sono stati soltanto esperimenti sporadici, spesso relegati alla promozione più che alla distribuzione, stranezze che non hanno mai davvero convinto le etichette né fatto impazzire artisti e pubblico. La vera “coloured vinyl mania” è un fenomeno tutto dei nostri tempi: è esplosa soltanto negli anni ‘80 e negli ultimi anni ha dato vita a un collezionismo forsennato e a un incremento esponenziale nella produzione dei colorati.

Come nasce il vinile colorato

“Sostanzialmente per fare un disco colorato si usa la stessa procedura del disco nero”, spiega Cristian Urzino, che con Fabio Lupica ha fondato la PPM, azienda specializzata nella produzione di 45 e 33 giri. “La differenza sta nel tipo di compound, cioè nella plastica utilizzata. Il primo stadio del disco è sempre quello trasparente. Poi, prima del pressaggio, invece del nero fumo vengono aggiunti i coloranti”.

Questo nel caso del colore pieno e uniforme, ma l’universo dei vinili colorati non si esaurisce qui: esistono dischi splatter, glitterati, fosforescenti, marmorizzati… “Gli splatternoi non li facciamo, perché servono macchine molto vecchie”, continua Urzino. “Si tratta di una procedura tutta manuale. Viene preparata una polpetta di plastica del colore base e poi sullo stampo a mano si mette un granulo di un altro colore, una spolverata tipo parmigiano per intenderci. Durante il pressaggio il granulo tende ad andare verso l’esterno e disegna quelle striature che vediamo sul disco. Possiamo fare i marmorizzatiinvece, miscelando due plastiche. Devono avere la stessa base di componenti però: tendenzialmente si scelgono mix tra colori trasparenti oppure tra colori opachi ma non uno insieme all’altro perché si tratta di due formule completamente diverse”.

 L’effetto sorpresa

“Il mercato italiano ha qualche limitazione sul colorato: le stampe più eccentriche sono quasi tutte straniere”, spiega Francesco Morra Mormile, collezionista e titolare del negozio di vinili Alta FedeltàComo. “Io da ragazzino andavo in Svizzera apposta per comprarmi i 12” mix tedeschi dei Depeche Mode. Erano tutti marmorizzati e quando li tiravo fuori dalla cover c’era proprio l’effetto wow. Se ne vedevano pochissimi in giro. Oggi il vinile colorato non è più una novità: i giovani sono perennemente connessi e sui portali specializzati, su Facebook e su Instagram si trovano pagine interamente dedicate. Inoltre qualsiasi ristampa oggi la fanno uscire colorata”.

 Urzino:“Le tirature dei vinili (che in media oscillano tra le 300 e le 500 copie) oggi sono spesso miste. Su 500 dischi 300 sono neri e 200 colorati. I colorati costano circa un 40 per cento in più rispetto al disco nero, ma si vendono più facilmente: diventano la famosa limited edition che fa gola e viene cercata prima”.

Mormile:“Soprattutto nel Nord Europa (penso a Motorpsycho o ai gruppi drone e ambient), sono dei pazzi in questo senso: fanno anche nove colorazioni differenti dello stesso disco. Certo, si tratta di generi che si prestano maggiormente a questo tipo di operazione ma la verità è che oggi non si vendono più 10 milioni di dischi, come capitava negli anni ’80, e le nuove colorazioni si sono diffuse anche tra artisti e gruppi meno alternativi, che fino a qualche anno fa non avrebbero mai stampato in colorato. Un paio di mesi fa, per esempio, è uscito Giubbe rossedi Battiato in rosso, appunto. Chi produce sa che esistono nicchie più o meno elevate a seconda del brand del gruppo e della popolarità e ovviamente le sfrutta”.

Oggi le ristampe colorate impazzano, ma in passato?  E il suono? 

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