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Il 2019 è stata un’ottima annata, volendo rubare l’espressione al mondo del vino, per la musica. In particolare per la discografia che ha raggiunto i migliori risultati degli ultimi cinque anni – con una crescita complessiva dell’8%, per un valore di 247 milioni.

Sicuramente lo streaming (con le sue versioni premium) e il digitale hanno fatto la loro parte, con un +26,7% che, nel nostro Paese, rappresenta oggi oltre il 70% di tutti i ricavi.

Il tasso di crescita, tuttavia, non riguarda solo il mondo della “musica liquida”. Il vinile, infatti – nonostante il “fisico” abbia mostrato un cedimento notevole e pari a un -13,8% – ha tenuto bene, mostrando un trend positivo con 14.660.980 euro di fatturato 2019, ossia un +7,3% rispetto all’anno precedente.

Quella legata al vinile certamente una fetta minoritaria rispetto allo streaming, ma il mercato del disco fisico col microsolco sicuramente mostra segni positivi e interessanti  in quanto rivolto a un target diverso, costituito da collezionisti, nostalgici o, più semplicemente, amanti delle cose belle. Uno zoccolo duro difficile da scalfire e, oggettivamente, in crescita lenta, ma costante.

Purtroppo, però, questi dati incoraggianti, sono stati investiti dal ciclone Coronavirus, che sembra avere vanificato tutto nel giro di poche settimane, nel 2020, compromettendo l’intera filiera musicale tricolore.

Una comunicazione ufficiale di FIMI del 24 marzo spiega: “Con l’intera filiera della musica ferma ormai da più di un mese, appaiono evidenti i primi effetti anche sul mercato discografico italiano. Negozi e catene di intrattenimento chiuse, molte pubblicazioni rimandate già a dopo l’estate e sale di registrazione inaccessibili offrono un quadro potenzialmente molto negativo. Dalle prime settimane emergono infatti evidenti i cali sul segmento fisico (CD e vinili) di oltre il 60%, sui diritti connessi di oltre il 70% (dovuta alla chiusura di esercizi commerciali e all’assenza di eventi) e sulle sincronizzazioni in grave sofferenza. Soffre anche lo streaming a causa dell’assenza di nuove release, che solitamente fanno da traino agli ascolti, e della scarsa mobilità dei consumatori (secondo i dati IFPI, in Italia il 76% di chi ascolta musica lo fa in auto, e il 43% nel tragitto casa-lavoro)”.