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Recensione pubblicata su Vinyl n. 5 (gennaio 2019)

Cesare Cremonini, Possibili scenari per pianoforte e voce
Etichetta: Trecuori/Universal Vinyl

Voto: ****

Il rubato è una tecnica pianistica popolarissima: consiste nel rallentare e accelerare il passo in modo espressivo, così da creare un respiro nell’esecuzione, senza perdere il tempo ma anzi appropriandosene in pieno. Il Romanticismo ne fece uso e abuso, mentre il pop, con quella sua gabbia ritmica indistruttibile, di norma non si concede al suo fascino. Un trucco per utilizzarlo è andare unplugged. Cesare Cremonini l’ha fatto di recente, riprendendo il suo ultimo album Possibili scenari e risuonandolo da capo per pianoforte e voce.

L’idea di spogliarsi degli orpelli non è una novità assoluta. Se di recente St. Vincent ha “asciugato” Masseduction con MassEducation, l’eredità pesante è quella di MTV Unplugged. Gli anni ’90 sono stati l’epoca d’oro di questa formula, spesso interpretata pigramente da chi si limitava ad abbassare il volume. Possibili scenari per pianoforte e voce fa parte di un’altra categoria, perché Cesare Cremonini non ha solo messo a tacere gli altri strumenti: ha riscritto gli arrangiamenti da capo.

Le produzioni barocche alla Brian Wilson del 2017 si fanno da parte, e nuove idee e frasi arrivano, tanto più interessanti quanto più il pianoforte era presente nella ricetta di partenza. Questo non vuol dire stravolgere, piuttosto – dice Cremonini – «svelare, a uno a uno, i segreti nascosti nelle mie canzoni».

L’esempio migliore è Kashmir-Kashmir: invece di inciampare allegramente con quell’acciaccatura honky-tonk,
il pianoforte ora saltella con uno staccato jazz tra mano destra e sinistra, dando nuova forma alla gioiosa follia dell’originale. Poetica non è meno romantica di come la conoscevamo, anzi, il suo rubato ora toglie il respiro. La stessa tecnica è usata in Un uomo nuovo, sulla quale Cremonini sfoggia un arpeggio calante che sa di minimalismo giapponese alla Joe Hisaishi.

A volte, la rilettura inventa o intensifica un significato: la title track precipitosa si trasforma in elegia notturna disillusa; l’emozione di Al tuo matrimonio, con divertente allusione alla marcia nuziale di Mendelssohn in bella evidenza e una fugace It Ain’t Me Babe in coda, è ancora più inebriata e disperata. Ma l’effetto è soprattutto quello di dare all’ascoltatore un’occasione per concentrarsi, riconquistare il tempo dell’ascolto così come Cremonini riconquista il tempo della canzone sui tasti: lo dimostrano due delle rivisitazioni più riuscite, Nessuno vuole essere Robin e Silent Hill, che accentuano i passaggi, logici o armonici, con il gesto gentile non di chi sta spiegando, ma di chi dimostra nella pratica cosa si annida nella musica.