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A tre anni di distanza, con un nuovo produttore, il cantante di Latina torna con un disco che non guarda alle mode. E ridà spazio al pop

[di Silvia Gianatti – articolo pubblicato su Vinyl n.12]

Il disco di Tiziano Ferro è quello di cui il pop aveva bisogno. Dalla scena indie alla scena trap, i nuovi nomi hanno iniziato a influenzare il gusto delle classifiche. Ferro non si è fatto spaventare né influenzare e si è rinnovato grazie alla produzione di Timbaland, senza snaturarsi. Ci sono le ferite, ci sono gli ostacoli di cui il suo pop parla da 18 anni. C’è la sua voglia di leggerezza e il suo bisogno di raccontare la verità, a contatto con la realtà. Il disco, che esce in vinile anche in una speciale tiratura limitata in rosso, contiene 12 brani e per la prima volta Tiziano sceglie di produrne uno: In mezzo a questo inverno, «Che è quello già fuori in questo momento e che è forse il mio brano preferito dell’album».

Tre anni per vedere cambiare tutto?
È cambiata la musica, ma sono cambiato anche io. La mia vita è completamente diversa da quella che era nel 2016. Era inevitabile che il cambiamento finisse nel disco.

La produzione di Timbaland arriva dopo 18 anni di Michele Canova.
È il mio idolo da quando ho sedici anni. La mia casa discografica mi ha proposto di andare a berci un caffè: da lì è arrivata la sua proposta di lavorare insieme. Mi sono rimesso in gioco come alunno, con tutto da perdere. E quella piccola venatura di sana paura ha provocato una mini crisi che è stata a livello creativo molto importante.

Nel disco ci sono 9 canzoni sue. E le altre?
Avevo due o tre ballate che non volevo proporgli, ma l’ho provocato e su una delle canzoni, Accetto miracoli, ho messo alla prova il suo genio. Ha iniziato a suonare l’808, la drum machine vintage, molto complessa, che è diventata la ritmica della canzone. A fine disco ho capito che con la musica si può ancora giocare, anche dopo vent’anni di carriera e quasi 40 anni di età.

E poi c’è In mezzo a questo inverno che invece hai prodotto tu.
È una canzone che parla di separazione, da una persona importante. Non volevo fare quello che scriveva la canzone alla nonna, l’ho resa universale. Ma ancora adesso faccio fatica ad ascoltarla.

In cinque canzoni ricorre la parola guerra.
Cielo e ossigeno sono le mie parole vietate. Non mi ero accorto di averla usata così tanto, ma rispecchia quello che sento e canto anche in Un uomo pop. Le canzoni toccano l’anima delle persone. Fare la guerra con il pop oggi vuol dire cambiare animi. 40 mila persone in uno stadio creano quella bolla di unione all’interno di un mondo in cui sembra che nessuno si supporti più. Mi fa pensare che il pop abbia un potere reale.

Questo genere però sta vivendo un momento di crisi. In tre anni la musica italiana è molto cambiata.
Per la prima volta sono confuso. La crisi c’è. Le vendite sono crollate rispetto a 15 anni fa. Esistono surrogati di platino e oro digitale che non si capisce come vengano calcolati. Lo streaming è un gadget molto importante ma non è l’unica risposta all’ascolto della musica. Ti restituisce una fascia precisa di età. Eppure non ci sono solo trap e reggaeton.

Non ci sono più supporti ma rinasce il vinile.
Si esce in vinile, bisogna farlo. Il mercato del vinile seppur piccolo è cresciuto. Quando la musica perde di valore perché ce l’hai sempre gratis, gli oggetti inclonabili crescono di valore. È una logica quasi statistica. E per lo stesso motivo cresce la voglia di vedere la musica dal vivo, l’unica cosa rimasta non riproducibile. Il nuovo platino oggi è il live.

E il tuo sarà di nuovo negli stadi.
È incredibile vendere così tanti biglietti. I primi 180 mila sulla fiducia, ancora prima che uscisse il disco. Provo un forte senso di gratitudine. Credo che non mi abituerò mai. Arrivare negli stadi a quasi 40 anni in maniera così reale ha un sapore diverso. Mi sento privilegiato e sono felice. Ci saranno anche date europee. Vorrei che fosse una grande festa. Unica regola? In scaletta ci saranno solo i singoli.