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Nei primi anni ’80 i Talk Talk sembrano una delle tante band cinicamente commercializzate dalle case discografiche sotto l’etichetta di New Romantic, ma il loro terzo album, The Colour Of Spring, cambia per sempre il loro destino artistico. Grazie anche alla tenace volontà e ai sogni di un cantante che credeva di non saper cantare

[di Neil Crossley – articolo integrale pubblicato su Vinyl n.10]

L’universale rammarico seguito all’improvvisa morte di Mark Hollis, all’età di 64 anni, il 25 febbraio scorso, è stato un segno del profondo rispetto di cui il fondatore e frontman dei Talk Talk ha goduto e tuttora godeva.
Tra la massa di citazioni e ricordi di Hollis ritwittati nei giorni successivi alla sua scomparsa, uno dei più popolari risale a un’intervista del 2012 a Guy Garvey apparsa su Mojo, in cui il frontman degli Elbow discuteva della duratura influenza esercitata da Hollis.

«Mark ha iniziato con il punk e, per sua stessa ammissione, non aveva grandi abilità musicali», ha ricordato Garvey. «Sentiva l’esigenza di esprimersi, certo, ma da lì a riuscire a creare alcune delle canzoni più originali, sottili e durature mai scritte è stata un’impresa paragonabile allo sbarco sulla Luna».
È un’opinione condivisa da molti.

Nell’arco di cinque album, Hollis ha trasformato i Talk Talk da un intrigante gruppo post-punk in una band capace di creare un corpus musicale straordinario, composto da musica così bella da togliere il fiato, con una forza spirituale capace di scuotere l’ascoltatore nel profondo.

Il primo segno di quello che i Talk Talk sarebbero stati capaci di fare emerge nel loro terzo album, The Colour of Spring (1986), in cui cercano disperatamente di affrancarsi dai limiti del consumismo musicale stile anni ’80 per inseguire un percorso sorprendentemente creativo.
A più di trent’anni dalla sua pubblicazione, quest’album etereo ed enigmatico è ancora attualissimo come il giorno del suo arrivo nei negozi.

Volere è potere

Sin dagli esordi, la cifra stilistica di Mark Hollis è l’eclettismo.
Nato nel 1955 a Londra, nel quartiere di Tottenham, è pesantemente influenzato da suo fratello maggiore Ed, un vorace collezionista di dischi che arriverà in seguito a produrre i pub rocker di Canvey Island Eddie & The Hot Rods.
È infatti Ed a guidare il fratello minore verso suoni che Mark, da solo, probabilmente non incontrerebbe mai, dal free jazz al prog rock, fino alle garage band americane.

È proprio una raccolta di queste ultime, Nuggets (1972), a spingerlo a costituire nel 1977 la sua prima band, The Reaction. Come per molti altri in quel periodo, l’etica di indipendenza a tutti i costi del punk è per Mark una potentissima spinta all’azione: «Finché non è arrivato il punk, non avrei mai immaginato di poter arrivare a pubblicare un disco, perché non pensavo di saper suonare», ha dichiarato a Jim Irvin di Rock’s Back pages nel 1998. «Ma il senso del punk era “se credi di poter suonare, allora sai suonare”».

Mark e Ed scrivono insieme un singolo, Talk Talk, incluso nella compilation Streets e accreditato a The Reaction, mentre nel giugno del 1978 la band pubblica un altro singolo, I Can’t Resist, prima di sciogliersi nel 1979.

[continua con la seconda parte sabato 9 / foto Facebook Talk Talk & Mark Hollis]