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Sono passati trent’anni dall’album di debutto degli Stone Roses, un autentico capolavoro che la band non è mai più riuscita a eguagliare. Un disco che, però, avrebbe potuto essere molto diverso da quello che è. Ne abbiamo parlato con John Leckie e Peter Hook, che si sono contesi la produzione di questa band scintillante e dal presente ancora travagliato

[di John Earls – articolo integrale pubblicato su Vinyl n.10 / continua da Stone Roses: le rose e le spine – pt. 2/4]

Un lavoro di qualità

Ironia della sorte, è proprio una delle prime canzoni, This Is the One, a creare i maggiori problemi a Leckie: «È semplice, dinamica, ed è difficile da rendere in maniera così convincente», ammette. «In This Is the One la melodia non è un problema, è solo una successione di “rasoiate”.
Il problema sono gli accenti e l’intenzione con cui vengono marcati, perché la canzone convinca devono essere perfetti. Troppo forti? Il pezzo è enfatico. Troppo molli? Il pezzo avanza pigramente».

Ma anche la famosa chiusura di I Am the Resurrection non si rivela uno scherzo per il produttore: «La canzone in sé è piuttosto semplice, ma l’arrangiamento deve essere perfetto. Alla fine del brano il suono deve risultare compatto, come quello di una vera band, non caotico come in una jam session o peggio. È importante non esagerare ».
Per contro, Leckie ricorda John Squire eseguire Bye Bye Badman al primo colpo e aggiunge: «Non è, in realtà, una cosa insolita. Spesso accade che un musicista si blocchi su una difficoltà. Poi, il giorno successivo, torna in studio e tutto fila liscio come l’olio».

Tra i membri della band, il chitarrista e Reni sono quelli che esprimono con maggior convinzione le proprie opinioni su come l’album deve essere. «Ian era d’accordo con loro e Mani si accodava. Non avevano sempre ragione, ma del resto neanch’io!». Leckie concorda con Hook nel ritenere Brown un buon cantante: «Tutti i cantanti hanno un punto debole e Ian non è diverso dagli altri. La sua forza è tutta nelle vibrazioni che riesce a trasmettere, se lo prendi nel giorno giusto, se è dell’umore giusto, allora è un grande cantante. E il fatto che fosse convinto della bontà dei testi, gli ha dato una dose in più di fiducia».

È durante il perfezionamento della tracklist che Leckie capisce la bontà della musica registrata dagli Stone Roses: «I Wanna Be Adored doveva essere la prima traccia e I Am the Resurrection doveva chiudere l’album. Non c’era da discutere, solo un pazzo non sarebbe stato d’accordo. La sequenza poi l’ho decisa soprattutto io, ma non ricordo esattamente come. Tuttavia ricordo perfettamente che non c’erano cali di tensione, l’album era un prodotto di qualità».

Come noto, la prima reazione della stampa specializzata al debutto della band è… il silenzio. L’album esce il 2 maggio 1989, ma «NME» ne dà notizia solo il 10 luglio. «Q» bolla la produzione di Leckie come «stranamente monotona». Il disco arriva faticosamente nella Top 20, per la precisione al numero 19.

Ma un mix tra un fenomenale passaparola e dei concerti epici fa sì che la band non abbia minimamente perso l’entusiasmo, quando quella stessa estate entra nuovamente in studio per registrare i singoli Fools Gold e What The World Is Waiting For. «È stato divertente, almeno quanto registrare l’album», ricorda Leckie. «Eravamo nuovamente in pista e stavamo facendo qualcosa di nuovo e di fresco».

Ma ecco che arrivano le grane: iniziano i dissidi con il manager, ma soprattutto una lite con la casa discografica, che arriva fino al tribunale e che impedisce per tre anni alla band di registrare musica, nonostante la firma con la Warner Bros, costringendola a un’attesa di cinque anni per la pubblicazione del secondo album, The Second Coming (1994).
Sul comportamento di Evans, Hook si trattiene: «Gareth, all’inizio, aveva finanziato a lungo la band, per cui era abituato all’idea che fossero sempre in debito nei suoi confronti. In effetti erano in debito, ma non così tanto e, soprattutto, non come pensava lui. Secondo Gareth la band gli doveva qualcosa, così quando i soldi sono alla fine arrivati, se ne è approfittato. Non so se avesse pianificato tutto sin dall’inizio, non posso dirlo con certezza. Ma quando gli Stone Roses hanno cominciato a fare soldi, Gareth ha perso il controllo, ha iniziato a comprare un Learjet e roba del genere».

[continua con la quarta parte lunedì 4 / foto Facebook @thestoneroses]