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Sono passati trent’anni dall’album di debutto degli Stone Roses, un autentico capolavoro che la band non è mai più riuscita a eguagliare. Un disco che, però, avrebbe potuto essere molto diverso da quello che è. Ne abbiamo parlato con John Leckie e Peter Hook, che si sono contesi la produzione di questa band scintillante e dal presente ancora travagliato

[di John Earls – articolo integrale pubblicato su Vinyl n.10 / continua da Stone Roses: le rose e le spine – pt. 1/4]

Per capire il personaggio, Evans arriva al punto di offrire soldi alla gente per venire a vedere il gruppo suonare all’International, così da assicurarsi che i concerti facciano il tutto esaurito.
Va fino in Cornovaglia per distribuire le magliette della band a pescatori e surfisti, convinto che queste due categorie siano in grado di generare un potentissimo passaparola.

«Era un manager vecchio stile, come Peter Grant. Decideva tutto lui, ed era convinto che fosse per il bene esclusivo della band». Tuttavia, l’originalità e la scarsa esperienza gli si ritorcono contro.
La Rough Trade decide di non offrire un contratto ai Roses.
All’insaputa di Hook, la demo di Elephant Stone viene mandata a Geoff Travis su una cassetta di bassa qualità e il manager non riesce così a intuirne le potenzialità: «Geoff dà ancora la colpa a me per non aver messo sotto contratto gli Stone Roses», ride Hook.

La band, infatti, firma per la Silvertone. Un accordo per venti album, in cui Evans dimentica però di includere una qualsiasi clausola relativa ai compact disk, per i quali gli Stone Roses non vedranno mai un centesimo.
«Quando Gareth mi fece vedere il contratto, pensava che fosse una bomba, un accordo pazzesco, per lui era come dire: “Oh, guarda, adesso possono registrare venti dischi!”… Che Dio lo benedica». Comunque sia, un contratto c’è.

E avendo ormai stretto amicizia con i diffidenti Roses, a Hook viene offerta l’opportunità di produrre il loro primo album, anche se, alla fine, rifiuta per rimanere con i New Order, con cui registrerà il classico Technique.
«Sono stato incerto fino all’ultimo. Mi sarebbe piaciuto produrre il debutto dei Roses, ma anche Technique è un gran bel disco».

Cambio in corsa

L’album di debutto degli Stone Roses è così prodotto da John Leckie, a cui Geoff Travis ha mandato un nastro: «Quando ho richiamato Geoff, però, i Roses stavano già lavorando per la Silvertone».
Leckie si reca quindi a Manchester per vedere un concerto della band all’International: «Erano un gruppo eccitante e fresco. Reni alla batteria era spettacolare, molto in risalto. La reazione del pubblico era fantastica, quel tipo di reazione che è difficile vedere in un club di Londra».

Leckie ha iniziato la carriera come tecnico di studio agli Abbey Road con John Lennon e George Harrison, è poi passato al ruolo di ingegnere del suono per Mott The Hoople e Pink Floyd, prima d i produrre g ruppi come XTC, Simple Minds, PiL, Associates, Felt…
«Sia io che loro eravamo eccitati all’idea di lavorare insieme», ride. «Ricordo che quando ci siamo incontrati mi hanno citato gli XTC, li trovavano entusiasmanti, anche se poi avevano gusti piuttosto variegati».

Il problema è che le clausole del contratto con la Silvertone impongono alla band di utilizzare per la registrazione degli album i Battery Studios, che si trovano nel quartier generale della casa discografica a Willesden, nella North London.
«Dal punto di vista tecnico non c’era niente di male nell’usare i Battery», spiega Leckie. «L’unico problema era di ordine ambientale: gli studi si trovavano “dentro” la casa discografica. La Silvertone non ci fece alcuna pressione, ma il fatto di trovarsi tutti insieme nello stesso edificio con chi ti paga può condizionarti e non è la situazione ideale se stai cercando di essere creativo».

Ci sono però anche altre remore, di ordine più pratico. «La band doveva alloggiare in albergo, non era il massimo. Ogni giorno doversi recare dall’albergo allo studio e viceversa, con il traffico… dover pensare a dove mangiare e così via…».
Ai Battery Studios vengono registrati cinque brani, tra cui I Wanna Be Adored, Made of Stone e She Bangs the Drums, ma dopo un po’ di tira e molla con la Silvertone, Leckie e la band ottengono il permesso di trasferirsi a Rockfield, nel Sud del Galles, in una casa-studio in cui Leckie lavora sin dal 1973.

«In campagna si è più creativi e Rockfield è l’ideale, perché ha molte stanze, è spaziosa e ci puoi fare quello che vuoi. È come essere a casa». Con la band ora totalmente a suo agio, Leckie – come Hook prima di lui – rimane impressionato dall’etica del lavoro dimostrata dai Roses: «I testi dei brani erano già stati tutti scritti. È una cosa notevole perché, di solito, quando una band arriva in studio le parole delle canzoni sono ancora provvisorie. Gli Stone Roses, invece, non si lasciavano andare a discussioni infinite sui testi, era tutto già definito, anche le parole dei ritornelli».

[continua con la terza parte lunedì 4 / foto Facebook @thestoneroses]