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Dal pub rock alla new wave senza passare dal via. La Stiff Records è stata la fonte d’ispirazione per tutte le etichette indipendenti, una pioniera, un laboratorio di culto capace di sfornare musica e gadget ancora oggi oggetto di collezionismo accanito. La Stiff aveva tutto quello che serve per conquistarsi l’immortalità (artistica). O forse no? le luci e le ombre di una delle etichette più influenti di sempre.

[di Gareth Murphy – articolo integrale pubblicato su Vinyl n.9 / continua da Quei gran tosti della Stiff – pt. 3/4]

Tiriamo le somme

Ma, alla fine, qual è l’eredità lasciata dalla Stiff sulla prima ondata post-punk di etichette indipendenti, poi fiorita attorno al sistema distributivo messo in piedi dalla Rough Trade di Geoff Travis?
Come lo stesso Travis ricorda: «La Stiff è stata la prima, e la sua influenza è stata enorme».
Aiutata indubbiamente dal contesto geografico: Alexander Street distava giusto quattro passi dal primo negozio della Rough Trade, così come la Virgin, gestita da Simon Draper e sita in Vernon Yard, e la Chiswick di Ted Carroll e Roger Armstrong in Portobello Road.

«Andavamo da tutti e tre e compravamo i dischi per il nostro negozio. Quello che faceva la Stiff ci ha convinti che potessimo anche noi produrre musica, e ormai avevamo imparato abbastanza da non incasinare tutto».
Travis, comunque, ci tiene a puntualizzare come l’etichetta di Robinson non fosse l’unica.
Accanto ai pionieri londinesi c’erano anche le newyorkesi Hearthan e Ork, le indie proto-punk dietro il debutto di Pere Ubu e Television.

Pop art all’avanguardia

Eppure, in termini di pop art, ambito in cui New York tradizionalmente era all’avanguardia, la Stiff era anni avanti a tutti.
Lo conferma Peter Saville, uno degli artisti della Factory: «La Stiff era un’etichetta esemplare. Barney Bubbles, in particolare, era una fonte di ispirazione per me e per il mio amico Malcolm Garrett», graphic designer di Buzzcocks, Simple Minds e Duran Duran.
Mentre erano ancora studenti al Politecnico di Manchester, Saville e Garrett erano rimasti folgorati dalle copertine che Bubbles aveva creato per gli Hawkwind e, in seguito, per Elvis Costello.
Peccato che non ne fossero consapevoli.
Ci vollero anni per collegare tutti i puntini, come ricorda Garrett: «Fu Richard Boon, manager dei Buzzcocks e a sua volta diplomato in belle arti all’Università di Reading, a rivelarmi che le mie copertine preferite erano state tutte realizzate dalla stessa persona. Non potevo crederci. Studiandole, potevi coglierci un filo conduttore ma io, semplicemente, non ci ero mai riuscito».

Nell’Inghilterra degli anni ’70, continua Seville, «le copertine degli album erano una fonte di informazione molto importante per l’arte grafica avant-garde».
Riconoscendo il superiore talento di Barney, Saville sottolinea come il pubblico inglese sia stato educato all’arte grafica moderna proprio grazie al modo in cui i suoi elementi fondamentali sono stati utilizzati, stilizzati e democraticizzati nelle copertine e nelle varie forme di comunicazione dell’industria musicale. Un lento processo culturale di cui Bubbles è stato il principale protagonista.

Detto ciò, è difficile emettere un giudizio definitivo sulla Stiff, un’etichetta che è stata protagonista di una fase di passaggio, un’area grigia in cui gli avventurieri solitari del rock alternativo dei primi anni ’70 si sono alleati e radicalizzati dando vita all’età dell’oro (un po’ intellettualoide) della new wave e del post-punk.

Una finestra sul futuro

Punto di congiunzione e, allo stesso tempo, anello mancante, la Stiff ha occupato un ruolo fondamentale in questo processo. È stata l’etichetta che ha tolto la fiaccola alla Island e ne ha continuato la missione di interprete dello spirito dei tempi, finché la Rough Trade non ha costruito il suo sistema di distribuzione di indie, da cui più giovani innovatori come 2 Tone, Factory, Mute e 4AD hanno spiccato il salto verso il futuro.

Se oggi la Stiff giace dimenticata o viene al più ricordata come un’aberrazione del pub rock, è solo perché molti ex punk e  puristi dell’indie rock sono riluttanti ad ammetterne la decisiva influenza.
I Sex Pistols non bastano a spiegare tutto. Se attorno al 1977 è successo così tanto e così velocemente è anche grazie a tutti questi rocker usciti dalle scuole d’arte ed ex mod trasformatisi in manager, che hanno preparato la strada al punk e a tutto quello che ne è seguito.