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Dal pub rock alla new wave senza passare dal via. La Stiff Records è stata la fonte d’ispirazione per tutte le etichette indipendenti, una pioniera, un laboratorio di culto capace di sfornare musica e gadget ancora oggi oggetto di collezionismo accanito. La Stiff aveva tutto quello che serve per conquistarsi l’immortalità (artistica). O forse no? le luci e le ombre di una delle etichette più influenti di sempre.

[di Gareth Murphy – articolo integrale pubblicato su Vinyl n.9 / continua da Quei gran tosti della Stiff – pt. 2/4]

Un po’ di sano divertimento

Ma qual è, veramente, il livello di follia alla Stiff?
Le leggende metropolitane abbondano: Dave Robinson che urina nei lavandini degli alberghi, che rotea mazze da baseball negli uffici di Alexander Street ecc. Tuttavia, l’etichetta si guadagna la nomea di manicomio delle indie londinesi perché, come puntualizza Paul Conroy: «Nella zona c’erano un mucchio di pub… e i tour erano in effetti una roba da matti, i problemi non mancavano mai, data la forte personalità delle persone coinvolte. Nonostante ciò, però, non è che facessimo tutti ’sti casini, anzi lavoravamo sodo. La maggior parte dei giorni rimanevamo in ufficio fino alle dieci di sera e poi uscivamo a cena tutti insieme in un locale dei paraggi».

E nonostante tutte le stramberie che si vedono nei video, Chaz Jankel assicura che «Ian Dury era uno “pulito”. Non sopportava la cocaina, perché credeva che tirasse fuori il lato fascistoide delle persone. Non la voleva nella band e non tollerava che la usasse la gente che aveva attorno. Il nostro veleno preferito erano gli alcolici e la cannabis, di cui, in effetti, ce n’era fin troppa».

Per conciliare fatica e divertimento, la Stiff possiede però quello che Jankel descrive come «un atteggiamento naturalmente positivo verso qualsiasi cosa».
Per il secondo album di Dury, Do It Yourself,  l’etichetta ingaggia una squadra di decoratori e pittori capitanata dall’estravagante ed elegantissimo manager/produttore Kosmo Vinyl, che si presenta negli uffici delle maggiori riviste musicali per tappezzargli la reception con la stessa carta da parati utilizzata per la grafica della copertina dell’album.

A questo allegro caos creativo contribuiscono anche le piccole agenzie affiliate alla label che organizzano i concerti e le ambiziose campagne pubblicitarie.
Nel 1978 per il tour promozionale dell’etichetta, battezzato “Be Stiff”, viene affittato niente meno che un treno, ridipinto con un enorme logo Stiff. Fatto sta che, rispetto alla frugalità delle altre etichette indipendenti, la Stiff fa forse il passo più lungo della gamba oppure, dipende dai punti di vista, è tutta colpa del successo, che incoraggia Robinson nella rischiosa abitudine di spendere oltre i mezzi a disposizione.

Successi a valanga

La presenza stabile nelle classifiche arriva nel 1979, grazie ai Madness, che trasformano la Stiff in un’impresa discografica di importanza nazionale.
«I Madness erano Camden Town», spiega Robinson. «Ascolta le parole di Suggs. Canta della ragazza della porta accanto, di quello che succede nel cortile della scuola del quartiere, dello sfaccendato del piano di sopra».

Se Ian Dury è l’ambasciatore dei cockney dell’Essex, lo ska dei Madness è il frutto finale dell’orgoglioso sogno di Robinson: musica che nasce dal basso, con un radicamento nella comunità, e che si diffonde con il passaparola.
Con quattordici singoli che entrano nella Top 10 tra il 1979 e il 1984, i Madness sono tra le pop band inglesi di maggior successo di tutti i tempi.
E non sono i soli.

La Stiff, all’inizio degli anni ’80, sforna una caterva di singoli di successo, con Kirsty MacColl, Jona Lewie, le Belle Stars, e le Go-Go’s.
Lo spirito radicale delle origini sembra essersi un po’ perso, ma l’approccio di Robinson, che sfrutta anche la produzione di video strambi ma accattivanti, funziona. È lui stesso a girarli, affascinato dai personaggi che popolano Londra e che lui stesso descrive come «un certo tipo di inglesitudine».
È così che la sua cinepresa finisce per inquadrare quelli che diventeranno l’atto finale della storia della Stiff: i Pogues, un ultimo grandioso capitolo durato dieci anni.

Purtroppo, all’epoca, l’etichetta è già stata assorbita dalla Island, un’impresa sciagurata da cui non si riprenderà più a causa degli epocali dissidi tra il patron di quest’ultima, Chris Blackwell, e lo stesso Robinson, che la dirige tra il 1984 e il 1986. Controversie a parte, è indubbio che Robinson eserciti un effetto elettrizzante sull’etichetta di Blackwell, aiutandola nella transizione verso l’indie pop, come dimostrato dai Frankie Goes To Hollywood, un tipico act in stile Stiff.

[continua con l’ultima parte mercoledì 11]