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Il 7 febbraio esce Ho un piano, nato dalla penna e piano di Raphael Gualazzi con più produttori, alla ricerca di nuovi suoni, partendo da Carioca, il brano che il cantautore porta a Sanremo.

[intervista di Silvia Gianatti]

Stabber, i Mamakass, Dade, Federico Secondomé, Fausto Cogliati e l’arrangiatore Stefano Nanni. Sono i nomi dei collaboratori del nuovo album di Raphael Gualazzi. Si chiama Ho un piano e esce il 14 febbraio (etichetta Sugar). Una colonna sonora variegata e intrigante, con testi ricchi di temi attuali. Ironia, cinismo, suoni urban che si fondono al pop, suoni vintage e marcette del teatro canzone, che mostrano l’ecletticità di un artista jazz e soul che dal 26 aprile sarà in tour nei teatri.

Cosa dobbiamo aspettarci da questo nuovo album?

«È un album che non smentisce la linea dei precedenti per l’approccio poliedrico delle sonorità scelte. Da musicista non posso rinunciare alla sfumatura della musica. Ho avuto il privilegio di collaborare con ottimi collaboratori. Mi sono seduto con loro e ho trasmesso il mio pensiero. La mia dichiarazione è proprio Ho un piano. Il mio epicentro è da sempre il pianoforte. Da lì nasce tutto. La canzone, e tutto quello che c’è intorno. In questo nuovo alcum abbiamo affrontato diverse modalità creative».

Il titolo parla del tuo pianoforte ma anche dei tuoi obiettivi.

«Ho un piano penso di averlo pensato per la prima volta quando ero al conservatorio. Ho fatto l’università in beni mobili artistici, ma un giorno ho guardato mio padre e gli ho spiegato che non sarei andato a lavorare in una biblioteca. Ho sempre avuto bisogno di viaggiare, di vedere cose diverse, di vivere di musica. Lui mi ha detto “sei pazzo”. Pensava fosse solo un sogno. Avevo 23 anni, ho detto “sogniamo”. Mi ha abbracciato, ho provato. Con tenacia e fortuna sono riuscito a fare della mia passione un mestiere».

Come è stato lavorare con produttori diversi?

«Ho vissuto processi creativi diversi a a seconda dell’approccio produttivo. Per me è molto importante partecipare al processo creativo fin dall’inizio. Dade mi ha proposto alcuni beat, con i Mamakass ci siamo messi agli strumenti, ognuno al suo. Dalle jam session sono nate le sequenze armoniche, fino all’arrangiamento. Tutto nel massimo rispetto. Con Federico Secondomé abbiamo costruito e destrutturato groove. E con Fausto Cogliati si è partiti da una canzone piano e voce e siamo andati ad assegnare delle parti e suoni più moderni alla mia mano sinistra. Dal pianoforte è diventata un moog».

Nel tour come si fonderanno questi suoni?

«Sono un accanito sostenitore, quasi integralista, della musica suonata. Non mi piace l’idea di dover sottostare a un click o a delle sequenze. Preferisco restituire l’organicità ai suoni. Mi accompagnerà la mia band, sette persone sul palco.  È importante restituire alla composizione un respiro vivo».

Carioca è un brano molto coinvolgente.

«È l’esempio di come la musica rappresenti la sublimazione dei chiaro scuri della nostra vita. È ai più alti livelli estetici come arte proprio per questo suo potere».

Come è andata la canzone sul palco dell’Ariston?

«La presenza dei musicisti sul palco, l’orchestra di Sanremo, un genere così ritmico per chi ama suonare uno strumento percussivo come il pianoforte è veramente divertente».