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Ho un piano è il titolo del suo nuovo album e anche la sua dichiarazione di intenti. Perché la musica può essere ancora ricerca

[di Silvia Gianatti – articolo integrale pubblicato su Vinyl n.13 / continua da Raphael Gualazzi: Il mio modo di dare spazio al web – l’intervista pt. 1/2]

Intervista a Raphael Gualazzi

Come sono nati i brani?
Sono partiti tutti da una suonata o da un groove insieme, tra me e i produttori. Dal groove si suonava sopra una sequenza di accordi, una linea di basso… E nascevano. Altri invece li ho composti da soli e poi elaborati. Ma i miei li porto avanti da solo perché credo che sia importante, nella collaborazione, che ognuno metta la propria genetica dall’inizio, in modo da non entrare in contraddizione.

Ti piacciono le sfide?
Sono un musicista e nasco come musicista. Ogni chance per poter affrontare me stesso in una nuova musica sperimentazione mi piace.

Nel tuo disco è interessante l’esercizio musicale di Italià.
L’orchestrazione è una dedica omaggio a Gioacchino Rossini, per il suo approccio ironico e la sua provenienza. Ho l’onore di essere suo conterraneo, nato a Urbino e poi cresciuto a Pesaro. Suo padre dovette fuggire perché filo francese. Stefano Nanni, l’arrangiatore dell’orchestra, ha fatto un ottimo lavoro.

Poi c’è Nah Nah, teatro canzone.
Nah Nah è una doppia negazione. È il mio delicato attacco alla società dell’immagine di cui siamo tutti schiavi spesso e volentieri in funzione di se stessa. A livello musicale è nata con l’approccio dello stornello però il desiderio è stato trovare commistione con le sonorità moderne. Il produttore è Fausto Cogliati, quindi si sentono accenni alla musica r&b anni ’80 con un Moog che fa la linea del basso della mano sinistra e che quindi diventa la linea principale del brano.

Ascolti vinili?
Sì, ho diverse cose. Quando sono stato a New Orleans ho fatto una “rapina” nel negozio.

[foto Flavio & Frank]