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Un trio atipico, una formula originale, un singolo da leggenda.

[di Federico Pucci – cover story integrale pubblicata su Vinyl n.3 / Continua da Police: debutto a luci rosse – pt. 1/2]

Precisamente il tipo di mutazione in corso d’opera necessario per abituare l’orecchio al tango-punk-reggae di Roxanne.
Il brano, uno dei primi registrati nelle sessioni ai Surrey Sound Studios, è ideato da Sting a Parigi.
La band si trova lì per suonare e il bassista è “ispirato” dalla vista delle prostitute vicino all’albergo e da un poster di Cyrano de Bergerac appeso all’ingresso.

Poco dopo l’inizio del pezzo si sente un accordo strano e una risata di Sting: durante le sessioni si era seduto per sbaglio sul pianoforte… Non è accidentale, invece, il modo con cui il brano anticipa le più sofisticate sorti del gruppo, dimostrando in maniera magistrale come pure le loro canzoni più pop siano costruzioni stratificate.

Nelle strofe Summers stende una trama di accordi speziati, con note sospese che sembrano quasi dissonanti con il canto di Sting nel momento di massima tensione.
Intanto, il basso sembra andare controtempo sull’intreccio percussivo che mescola piatti caraibici e tamburi argentini: «Ricordo che Stewart dovette spiegare a Sting dove piazzare le note del basso, ché non era semplice», dirà più tardi Summers. Ma quando parte il vero e proprio ritornello siamo dalle parti del rock più schietto, con una sfilza di power chord che fanno gridare a chiunque quel liberatorio “Roxanne!”.

Il singolo, che convince la A&M a metterli sotto contratto, non ha fortuna immediata, complice una programmazione timida per via del contenuto scabroso, ma piace alla critica.
Tanto basta per ottenere la pubblicazione di un’altra uscita, che per la prima volta porta i Police in classifica.

Can’t Stand Losing You, un tema controverso

Can’t Stand Losing You applica la medesima formula, ma con un’ulteriore complessità.
Prima di tutto c’è l’argomento, il suicidio di un ragazzo che parla alla sua ex per spiegarle le ragioni del suo gesto. Il tema è controverso, tanto più se si considera la cover del singolo: Stewart Copeland fotografato di spalle, in piedi sopra un blocco di ghiaccio, con un cappio al collo.

Lo scatto di Peter Grainville suscita polemiche, eppure (o forse proprio per questo) il singolo scala la classifica e rende popolare il trio.
Non meno fitta la tessitura sonora: una strofa tutta in minore, che esplode appena prima del ritornello in quella spirale di accordi che trasmette ossessione e soffocamento, effetto ancora più tangibile nel finale, un meccanismo che più Police non si può.

«Le canzoni su Outlandos d’Amour sono tutte “io, io, io”», disse Sting anni dopo, riferendosi alle esperienze autobiografiche condensate in quei racconti di amori sfortunati, di adolescenze negli anni ’60 (Born in the ’50s), per non parlare delle trovate situazioniste come la serenata a una bambola gonfiabile Be My Girl – Sally.
Sarà, ma nelle restrizioni di uno studio periferico e nella voglia di reinventarsi, i Police trovano qui la vena aurifera di uno stile inimitabile, che segnerà il decennio a venire.