Il rapper di Roma torna alle origini. Le sue e quelle dell’hip hop italiano. L’ottavo re (from ’90 Archives) esce in vinile e diventa compendio indispensabile per conoscere la genesi di una scuola

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Coerenza, amore per la musica, passione per i vinili. Tommaso Zanello, in arte Piotta, racconta in una pubblicazione in vinile le origini dell’hip hop italiano e romano in particolare. Erano gli anni ’90, c’era solo l’America. “Semi semisconosciuti, ma pioneristici e leggendari”, dice per raccontare le dieci tracce che compongono il disco. Rime, campionamenti, registrazioni su bobine multitraccia per fermare il momento, senza pensarci troppo. Circolati fino a oggi sono su mixtape e in cassetta, escono ora in vinile 180gr sotto la guida di Ice One, che crea il filo conduttore tra Piotta, Colle der Fomento, MC Giaime,Kobb D, Lascars, Turi & Compari, Flaminio Maphia, Benetti, Gufo (Supremo73) e tutti i personaggi che hanno dato vita a questo straordinario percorso musicale. È tutto quello che è venuto prima del successo di massa, è tutto quello che lo ha portato a perseguire la sua ricerca, nonostante il successo di massa. I tempi del Supercafonesono ormai lontani, ma non la voglia di continuare a pubblicare, con la sua etichetta La Grande Onda.

Un progetto che ti riporta alle origini. Perché farlo?

La domanda piuttosto è perché non farlo. Farlo è un obbligo culturale, una verità storica da raccontare circa le origini dell’hip hop.

Sono anche le tue origini. Che ricordi hai di quegli anni, del fermento musicale, della tua voglia di musica, delle collaborazioni?

Tutti noi abbiamo ricordi stupendi dei nostri 20 anni. Noi ne abbiamo forse qualcuno in più, perché li abbiamo condivisi con i nostri coetanei in giro per l’Italia. Sul palco, nel backstage, in hotel o in un’auto che attraversava in lungo e in largo il Paese, portando la nostra passione nella jam, poi in radio, poi in classifica, poi nei palazzetti, prima di tutti, senza alcun esempio davanti a noi. Abbiamo plasmato la realtà su misura dei nostri sogni e della nostra fantasia.

Non esisteva l’hip hop in Italia, hai/avete aperto una nuova strada.

Fare hip hop in Italia voleva dire essere dei visionari, contro tutto e tutti. Dal mercato ai parenti. In pesante litigio con i genitori, non potendo mostrare loro uno storico e degli esempi di successo, come avviene oggi per chi comincia. Voleva dire essere totalmente alternativi ai gusti musicali della massa, al contrario di quel che avviene oggi. Ma sentirsi diversi era un onore.

In L’Ottavo rehai raccolto brani che circolavano solo su mixtape e non erano mai stati pubblicati ufficialmente. Come li hai selezionati?

Abbiamo fatto come per i libri o per le antiche pergamene. Li abbiamo scovati, recuperati e restaurati, partendo da vecchi nastri su cassetta o su DAT. Ho passato ore a riascoltare beat, live, jam, mixtape e brani. Nel mio archivio personale c’è di tutto, dai bootleg di Colle e Sangue Misto a tanti inediti, tra cui questi degli anni della Taverna VIII Colle con Colle der Fomento e Ice One (qui ai beat), Dj Phella e Julie P.

Il senso della tua etichetta è quindi riportare l’attenzione sulle origini?

Anche, ma non solo. L’arte deve saper guardare sempre avanti, ma avendo sempre in mente da dove viene. Le radici sono tutto.

Perché L’Ottavo re?

Oggi come oggi non lo avrei mai usato come titolo, me ne frego di essere un re, ottavo o prima che sia, ma filologicamente – ragionandolo come se fosse l’album che avrei davvero fatto allora – è perfetto. Più di una volta canto “io so l’ottavo re”, il re di me stesso, della mia vita e di scelte controcorrente, perché noi della Taverna VIII Colle siamo stati i primi a fare l’hip hop “de’ Roma”, e forse solo ora – sulla lunga distanza – mi rendo conto di quanto fossimo avanti.

Oggi quel fermento esiste ancora?

Secondo me esiste ancora, soltanto che bisogna saperlo cercare prima che venga cannibalizzato dalla discografia, sempre più veloce e vorace. La discografia quando arriva tende a vestirti un po’ meglio, levarti un po’ di dialetto, far suonare meglio i brani, etc. Leva qui, leva là, a volte non ti ritrovi più nello specchio, o addirittura giri come uno zombie musicale sul palco di qualche talent.

La cultura hip hop è viva e vegeta o si stava meglio prima?

Penso sia sempre viva e vegeta. La cultura hip hop è così. Un mostro a 2 teste, fatto di cicli e ricicli storici. A volte becero mainstream reazionario, a volte underground estremo e rivoluzionario, a volte collettivo a volte in solitudine anarchica, formula che tra l’altro in assoluto preferisco.

Come sta la musica in generale oggi dal tuo punto di vista?

Per me sta una crema. C’è una proposta così ampia che non si può chiedere di meglio. Si va dal pop più stupido e ripetitivo alla creatività più eccelsa. Dalle nicchie che più nicchia non si può alle hit da supermarket. Secondo il gusto e l’età, secondo la sensibilità e la cultura di ognuno fra noi. A ciascuno il suo come avrebbe scritto Leonardo Sciascia, e poi impresso su pellicola Elio Petri.

In quegli anni racchiusi nel tuo disco Roma era in fermento. In questi ultimi è come se fosse iniziata una nuova fase romana. Vedi similitudini, nonostante il genere sia diverso?

Tanto la città va giù, tanto l’arte va su. Forse dovremmo ringraziare le ultime gestioni se la musica romana vola così in alto in tutti i generi. Davanti a tanta evanescenza la musica e l’arte in genere, sentono la necessità di riportare la città tra i protagonisti dell’arte, visto che non lo è dal punto di vista dell’amministrazione e del calcio. È il modo di portare avanti il nostro film, questa nostra infinita e preferita serie tv che è Roma.

Non ti sei mai fermato in questi anni, hai vissuto picchi di notorietà massima e picchi di maggior silenzio. Quale è stato il punto massimo della tua carriera, per te?

Il punto più alto per ogni vero artista è sempre quello che deve venire, non quello che già c’è stato. È esattamente come per i più grandi surfisti, è la ricerca continua in attesa della Grande Onda, quella che ti cambia la vita. Io ne ho cavalcate tante ma so che quelle che verranno sono ancora più alte, e sono pronto a sfidarle, a ricadere, a rialzarmi, perché in questo viaggio la vittoria è il viaggiare stesso, tra scoperte ed evoluzioni straordinarie e continue.

Perché pubblicare questo disco in vinile?

Io in vinile pubblicherei tutto, tipo la sigla di Stracult o quelle per il Trio Medusa. Pubblicherei la colonna sonora del primo film hip hop italiano, il mio Segreto del Giaguaro, il mixtape La Banda der Trucidoe persino alcuni bootleg, se si potesse farlo.

Cosa rappresenta per te l’oggetto disco?

Lo adoro, lo odoro, lo apro, lo chiudo, lo giro, lo rigiro, lo sfioro, lo scratcho, lo leggo, lo ammiro. Se ogni disco avesse due tacchi da dodici (come d’altronde i pollici del vinile) sarebbe la perfezione! Ah ah, ti sembra abbastanza feticistica come descrizione?

Dischi imprescindibili nella tua collezione?

Tutti, nessuno escluso, dal jazz alla disco, dal funk al punk, dal prog al soul, dal reggae alla world music, dal rap americano a quello senegalese, passando per quello francese, tedesco e naturalmente italiano. Sono importanti persino le cassette e gli odiati Cd, pensa come non potrebbero esserlo per me gli amati vinili.

Quando e come ascolti. E che cosa in questo periodo?

Tanto latin jazz, latin funk, quel mix così detto nuyorican nato a NY da quel crogiolo di musicisti con la M maiuscola provenienti dal centro e Sud America, da Ruben Blades a Willie Colon, da Hector Lavoe a Tito Puente, anzi… Potente, come lo chiamavamo scherzosamente io e i Cor Veleno. C’è della roba pazzesca nei loro vinili, live inclusi, vedi il doppio dal vivo di Ray Barretto Tomorrow.

Discografico, MC, beatmaker, rapper. Anche attore. Hai avuto e hai mille facce e continui a buttare fuori creatività. Ti manca qualcosa?

Mi manca quello che verrà, e quello che verrà sono certo che sarà importante. Per un creativo, almeno per come lo intendo io, quello che si è fatto è importante sì, ma sempre meno di quello che un creativo deve ancora scrivere, cantare, comporre, inventare.

 

>>>>>>>Quest’intervista è tratta dal numero 16 di De Agostini Vinyl, in edicola dal 15  settembre 2020