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Alla riscoperta di Nick Drake. Un artista originale, un’anima fragile, un cantautore di culto.

di Jonathan Wright
testo integrale pubblicato su Vinyl n.8 (maggio 2019)

[continua da Nick Drake: musica di un altro mondo – pt. 2/4]

Nell’ottobre del 1971, Nick Drake, tra la sorpresa di chi lo conosce bene, è pronto a realizzare il suo terzo album, ma nel frattempo molte cose sono cambiate.
Alla fine degli anni ’70 Joe Boyd, figura chiave per lo sviluppo del cantautorato folk britannico oltre che sostenitore personale di Drake, ha accettato un’offerta della Warner Brothers ed è tornato negli Stati Uniti.

La perdita è forse più personale che professionale, perché come produttore Boyd ha sempre collaborato con John Wood, che è molto di più che un semplice ingegnere del suono e che ha già lavorato sui primi due album del giovane cantautore.
È quindi naturale che, rigenerato da una breve vacanza nella villa spagnola di Chris Blackwell, il boss della Island, Drake si rivolga proprio a Wood, con cui ha anche instaurato un saldo rapporto personale.
Lui e sua moglie, infatti, lo ospiteranno spesso a cena nella loro casa di Greenwich, quando le sembianze di Nick, già emaciato di suo, iniziano ad assumere contorni preoccupanti.

Pink Moon, il capolavoro

Il nuovo album nasce con l’eredità di due discreti insuccessi e gli investimenti importanti di cui ha potuto beneficiare Bryter Layter non ci sono più.
La registrazione di Pink Moon avviene quindi in un clima “spartano”: poiché di giorno i Sound Techniques sono prenotati, Drake e Wood registrano di notte e impiegano soltanto due sedute per registrare tutte le tracce.
Anche se l’album è breve, solo 28 minuti di musica, è comunque un risultato sorprendente. Non vengono aggiunte sovraincisioni, tranne una breve parte di pianoforte nella title track.

Detto così sembra tutto facile, ma John Parish, il produttore del disco, offre una prospettiva più profonda. Uno dei suoi obiettivi, quando lavora con i cantautori, è catturare l’atmosfera di intimità che emanano, «in modo che l’ascoltatore viva le stesse sensazioni dell’artista».
Da questo punto di vista «le registrazioni di Pink Moon sono ottime.

Naturalmente, molto è dovuto alla performance dell’artista e alla qualità delle canzoni, ma è soprattutto l’atmosfera a renderlo speciale. Sembra di essere presenti nella stanza in quel preciso momento. È una questione di libertà.
Ci sono degli errori, a volte l’accompagnamento non è perfetto, ma non ci sono quegli effetti artificiali che creano distanza tra esecutore e ascoltatore, così ti sembra proprio di essere lì, davanti a lui.

Amo quel disco, è ancora così fresco a distanza di tutti questi anni. Mi sembra incredibile». In un’intervista rilasciata nel 1979 John Wood rimarcava il concetto: «Drake era deciso a realizzare un disco essenziale, spoglio. Voleva assolutamente che il disco lo rispecchiasse così com’era. E in questo senso credo che con Pink Moon ci sia riuscito, molto di più che con i primi due album».

A mali estremi…

Promuovere l’album diventerà un’impresa. Le fotografie scattate da Keith Morris, che ha già eseguito quelle per la copertina di Bryter Layter, mostrano un uomo trasandato, il cui aspetto rivela la sua lotta contro la depressione.
«Spesso ricordi le sedute fotografiche in base a un colore», ha chiosato Morris a Patrick Humphries, autore di Nick Drake: la biografia (Stampa alternativa, 2006). «Ecco, di quella seduta non rammento colori. Era come se tutto fosse grigio».

Forse anche per questo, nessuna di quelle immagini verrà usata per la promozione. La Island, che ha fama di essere un’etichetta che difende i propri artisti, pubblica l’album nel febbraio del 1972 e pianifica una campagna pubblicitaria di supporto sulle maggiori riviste musicali. Il messaggio preparato da David Sandison, responsabile dell’ufficio stampa, recita: «Crediamo che Nick Drake sia un grande talento. I suoi primi due album non hanno venduto una mazza [ sic!], ma se continuiamo a pubblicarli, allora forse qualcuno di quelli che contano si fermerà, ascolterà attentamente e ci darà ragione».

Perché un tono del genere? Sandison spiegherà: «Non so che cos’altro avrei potuto fare. Era una dichiarazione di fiducia incondizionata: finché lui vorrà fare dischi, noi li pubblicheremo». Sembra una mossa disperata ma, con il senno di poi, Sandison ha ragione: con il tempo, la gente si fermerà e ascolterà con attenzione.

Al momento, però, no. Pink Moon è l’ennesimo fallimento commerciale, come i due album precedenti. L’ottimismo riguadagnato con la vacanza spagnola è ormai svanito, la salute mentale di Nick peggiora e all’inizio del 1972 ha un esaurimento nervoso che lo costringe al ricovero in ospedale. Drake torna a vivere con i genitori.

[continua sabato 22 giugno con l’ultima parte]