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Intimità, azioni semplici, memoria e prospettiva alla ricerca di un nuovo equilibrio di suoni e parole che confermano l’identità del cantautore romano, che prosegue il suo percorso di narratore delle emozioni umane. Tra tradizione (il suono analogico) e tradimento (l’elettronica).

[di Silvia Gianatti – articolo pubblicato su Vinyl n. 11]

Tradizione e tradimento è il nono album di Niccolò Fabi, registrato tra Roma e Ibiza, alla ricerca di un nuovo equilibrio tra il calore acustico e l’elettronica tagliente. Nove nuove canzoni che trascinano l’ascoltatore in quel territorio intimo e profondo fatto di ricerca meticolosa di ogni singolo suono e parola.

Il disco esce in vinile e gira sul piatto creando una dimensione emotiva che sorprende. Sono trascorsi tre anni e mezzo da Una somma di piccole cose, l’album che sembrava un punto definitivo nella carriera del cantautore romano, che calca le scene dalla fine degli anni ’80.
Dopo un riconoscimento di critica e pubblico straordinario, Fabi si era fermato, scegliendo consapevolmente di allontanarsi dalla musica.

«Ho messo la chitarra nel fodero, per un anno non l’ho toccata. Ho fatto altro, ho decorato la casa in campagna, sono stato con i figli, ho fatto il corso di yoga. Eppure il mio demone era lì, pronto». Il demone della scrittura, della creatività, dell’arte necessaria, per lui.
E un po’ anche per noi.

Qual è stato il percorso di questo disco?
Ho vissuto due fasi. Una di fallimento e una di conferme e resurrezione. Desideravo allontanarmi da tutto ciò che avevo fatto fino a ora. Le soddisfazioni del mio ultimo disco erano state enormi, il massimo del consenso immaginabile. Quando qualcosa ti dà così tanta soddisfazione è sempre speciale e ti porta a non voler replicare. Ho vissuto una fase di sperimentazione in cui ho provato a mettere in discussione tutto, tentando un approccio diverso alla scrittura, cercando un luogo più freddo, anche a livello sonoro, non solo sentimentale. Volevo essere più “leggero”. Ho cercato l’elettronica, ho girato, collaborato con persone diverse. I risultati non sono stati convincenti.

Che cos’è successo quindi?
Sono tornato a casa con un unico elemento, il brano Amore con le ali, in cui Costanza Francavilla, splendida musicista e produttrice romana, nonché amica di infanzia, era riuscita a costruire una musica di un certo tipo. È stato l’unico caso in cui l’evoluzione non ha coinciso con una perdita di identità. Ho deciso di tornare indietro. O forse ho solo voluto fare un giro del palazzo, per tornare a casa. Il fallimento mi ha riportato alla mia identità, senza le turbe di voler essere qualcosa di diverso.

Tradizione e tradimento vuol dire anche questo?
Ho dovuto compiere una scelta e ogni scelta ti presenta il conto. Sono due forze contrapposte, tra il desiderio di confermare la propria identità e quello di cambiarla, rappresentando il nuovo che ci porta altrove. Le due parole del disco hanno a che fare con il movimento e il movimento è un rischio. Tradizione e tradimento è ricerca di identità.

Qual è la tua?
Vado in profondità e cerco di tirare fuori l’essenza. La mia struttura emotiva è adatta a raccontare questo. Ho provato a scrivere in modo diverso, ma non ci sono riuscito, e solo quando ho raccontato questa difficoltà ho ritrovato la mia voce.

Dove hai trovato nuove cose da dire?
Intanto non ero sicuro che le avrei trovate. Dopo il percorso di Una somma di piccole cose mi sono allontanato dall’essere cantante. Ho avuto la netta sensazione di aver chiuso una parte importante della mia vita con quel disco. Non avevo più voglia di rappresentare per me stesso e per gli altri il cantore di certi meccanismi così intimi, perché più vai in profondità più non trovi più te stesso, ma tutti gli altri. È nella parte superficiale che siamo tutti diversi, ma sotto siamo tutti uguali. Andare a fondo è faticoso.

È questo il senso di Io sono l’altro, il brano che ha anticipato questo album?
La canzone è il desiderio di capire gli altri, di rispecchiarmi negli altri, perché il ruolo che hanno nella nostra vita è quello che occupiamo noi nella loro. Non è una canzone sulla diversità, quello ne è la conseguenza. Non credo fosse interessante raccontare l’altro partendo dalla cronaca quotidiana che per me è sempre limite nell’arte, mi interessava entrare nello sguardo dell’altro, nel suo punto di vista.

[foto Facebook @niccolofabimusic – continua con la seconda parte martedì 24]