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La nascita di una band rivoluzionaria, capace di unire metallari, punk e rocker sotto un’unica bandiera fatta di watt e potenza. Un disco d’esordio che fatica a essere capito. E – dai nostri archivi – un’intervista fatta a Lemmy in persona…

Lemmy sta per mollare gli Hawkwind: o meglio, sta per essere cacciato (reo colpevole di preferire droghe “fast” e non psichedeliche). È il 1974 e la band si trova in tour. Durante una notte alla famigerata Riot House (ossia lo Hyatt Hotel al numero 8401 di Sunset Boulevard, a Hollywood) il bassista ha un improvviso attacco di creatività. «Quella notte lì c’erano anche Roy Wood e i suoi Wizzard. Sentivo che dovevo scrivere una canzone immediatamente, così corsi giù nella camera di Roy, presi la sua Ovation acustica e me ne tornai nella mia stanza. Mi piazzai sul terrazzo e ci rimasi per quattro ore a ululare. Le auto si fermavano, la gente ascoltava, poi ripartiva… e io ero lì che urlavo con tutto il fiato che avevo nei polmoni». Così nasce la canzone Motörhead, che chiude l’esperienza di Lemmy negli Hawkwind e dà il nome alla band che sta per fondare (oltre a diventare un pezzo-manifesto del gruppo).

Da quella notte del ’74 all’esordio su 33 giri dei Motörhead passa quella che oggigiorno pare un’eternità – ma allora le cose andavano molto diversamente. È il 1977, infatti, quando la nuova formazione arriva sul mercato con il long playing omonimo, su label Chiswick. In realtà Lemmy e i suoi avevano già registrato un intero LP nel 1976, ma l’etichetta che avrebbe dovuto pubblicarlo – la United Artists – si era messa di traverso, cancellando la release reputando il materiale proposto inaccettabile per i propri standard qualitativi: il tutto uscirà, quindi, solo nel 1979 (col titolo On Parole), dopo Bomber e Overkill per intenderci.

Motörhead giunge sul mercato il 21 agosto 1977. Nello stesso giorno accade poco altro di importante… Donna Patterson Brice batte il record di velocità su sci d’acqua e muoiono l’attore/ballerino Danny Lockin (assassinato a pugnalate) e l’attore Octavus L. “Octave” Van Aerschot, quindi possiamo dire che Lemmy & co. segnano indelebilmente quella data.

Di questo disco, almeno nel momento in cui scrivo, risultano circa 92 versioni differenti fra prime stampe e riedizioni nei tre classici formati LP, CD e musicassetta. Il più goloso fra i pezzi da collezionisti è il 33 giri uscito dalla prima tornata di stampa: un album tirato in sole 600 copie, con la particolarità di avere la copertina (su cui compare il mitico Snaggletooth, ossia quella mostruosa testa che evoca un mix di cane rabbioso, lupo, gorilla e cinghiale ideata da Joe Petagno) in colore argento su sfondo nero. Una copia in ottime condizioni è stata venduta su Discogs a oltre 1.600 euro qualche tempo fa, per intenderci: buon per voi se ne possedete una!

Purtroppo i riscontri di vendita di Motörhead sono decisamente poco lusinghieri. La Chiswick si affretta a rescindere il contratto siglato e la band si riduce a campare seguendo uno stile di vita da senza fissa dimora – sfruttando divani o letti di amiche compiacenti e distruggendosi i neuroni a botte di speed, birra a litri e whiskey a buon mercato. È a questo punto che – out of the blue, come dicono negli USA – si fa viva la Bronze con una proposta: incidere un singolo. Il 7” (con una devastante cover di Louie Louie dei Kingsmen) vende discretamente e viene presa la decisione di provare la carta di un secondo album – che potrebbe essere anche il capitolo finale della band.

Quello che ne scaturisce, invece, è in pratica una manciata di pezzi che catapultano i Motörhead sotto ai riflettori. L’album con cui viene abbattuto il cancello che li separava dalla fama e dal successo.

[Continua con la pt. 2  – foto by Rama – quest’opera è software libero, è possibile redistribuirlo o modificarlo secondo i termini della CeCILL. I termini della licenza CeCILL sono disponibili presso www.cecill.info]