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Una lunga chiacchierata con Maurizio Marsico, mister Monofonic Orchestra, un artista che è l’equivalente nostrano di sperimentatori blasonati del calibro di Brian Eno, Mark Mothersbaugh (Devo) o i Residents. E che ci avverte saggiamente: “Il tempo è più gentile con la qualità che non con la popolarità”.

[articolo integrale pubblicato su Vinyl n.14 / continua dalla prima parte]

Andiamo più nello specifico: qual è il formato migliore per il vinile, a tuo giudizio? Il 7”, il 10”, il 12”?
Se mi costringi a parlare seriamente ti confesso che per me il miglior supporto del mondo, a livello qualitativo e affettivo, è il maxi-single in vinile. Un bel 12” a 45 giri di otto minuti massimo per lato, con i solchi che hanno tutto lo spazio che meritano, è quanto di meglio possa ancora esserci. L’autentico format dei dischi “che suonano” dei tempi d’oro delle radio e dei Dj e che anch’io adottai nel mio periodo con Italian Records per pubblicare musiche ben diverse da quelle che ci si sarebbe aspettati da tal formato.

Quindi possiedi anche un giradischi? Non è scontato… tanti collezionisti o appassionati di vinile non ne hanno uno.
Ne possiedo uno davvero basic, ma mi piace così. Per me i dischi devono suonare bene ovunque, anche con un impianto orribile: penso sia questa la vera forza dei dischi buoni. Fenomenali anche con un mangiadischi, sommersi tra scric e scroc e, a volte, imprevedibilmente non consumati causa coitus interruptus da salto di puntina.

Quando Maurizio Marsico decide di ascoltare musica, come lo fa e cosa sente?
La mia modalità preferita è ascoltare i mix o i pre-mix dei brani appena registrati in studio, in solitaria, con l’impianto dell’auto a manetta (posso dire tranquillamente che ho preso la patente soltanto per far questo) e ubriacarmi di decibel a volume parossistico, con i finestrini sigillati e risuonando tutte le parti con gli strumenti in versione air. Mi piace questa modalità, perché appena uscito dagli ascolti eccezionali dello studio sento il bisogno di un immediato raffronto con la cruda realtà, sentire insomma come suona davvero… e se suona bene in macchina è una bomba.

Come vedi il mondo dei collezionisti “hardcore” di vinile? Lo hai mai frequentato o sfiorato?
Chapeau ai collezionisti “hardcore” del vinile. In primo luogo perché esistono “ossessioni” ben peggiori e poi perché tra di essi si insidiano numerosi estimatori del sottoscritto e della sua discografia, che in fondo rimane al 90% in vinile e che componendosi di titoli a mio nome o sotto diversi alias (Monofonic Orchestra, Soul Boy, Maurizio & Maurizio, Fontana, M-Poppers, Art Of Joy e numerosi altri) è diventata nel tempo piuttosto nutrita e con valutazioni che in alcuni casi sfiorano lo sbalorditivo. Un paio di esempi? Il singolo Takita Kamati dei Fontana (Baby Records, 1981) con una valutazione oltre i 150 euro e l’album originale Architerrura sussurrante di Alessandro Mendini (esposto tra l’altro al Moma di New York), che include il mio brano Arredo vestitivo (Ariston, 1983) venduto su Discogs a 2.000 euro più spese postali! Ho scoperto che, in fondo, tutti i miei lavori sono collezionabili “naturalmente” e la loro rarità ne è quasi il fondamentale attributo, vuoi per la peculiarità della musica, vuoi per l’originalità dell’artwork. Deve essere emozionante dare la caccia a titoli che ormai io stesso non posseggo più e quasi nemmeno ricordavo di aver registrato e che se Christian Zingales non mi avesse costretto a farlo (e per questo gli sarò sempre enormemente grato), in occasione della stesura della mia biografia Life On Marsico, sarebbero ormai persi nell’oblio. Insomma, amici collezionisti: razziate tutto quello che riuscite a trovare di mio, da Maurizio & Maurizio del 1980 (copertina serigrafata a mano in rosa e verde fluorescente) a The Greatest Nots… e vi assicuro che non ve ne pentirete affatto. Se fossi un collezionista mi collezionerei. Sembra una boutade, ma lo penso davvero. Il tempo è più gentile con la qualità che non con la popolarità.

Visto che l’hai citata, parliamo della tua biografia/autobiografia scritta con Zingales: come ci si sente a essere oggetto di un libro sulla propria vita?
È sicuramente la prima volta in cui mi sia mai capitato di immedesimarmi a tal punto col personaggio di un libro. Devo ammettere che quel “cattivo soggetto” mi somiglia tantissimo, con lui ho avuto un vero e proprio transfert. Scherzi a parte, puoi senz’altro immaginare quanto possa essere inconsueto che esca un libro che parli di te da “vivo”. Quelle rare volte che, tra me e me, me lo sono chiesto, prima che uscisse, l’unica risposta che mi sono dato è stata: in fondo è normale, se sono nato postumo non è colpa mia è da quando esisto che sono aldilà, quindi esca oggi, ieri, domani o mai… è esattamente uguale.

Sempre per rimanere in ambito di carta stampata, il tuo racconto Nuvole di parole astratte colorate” compare nell’antologia S.O.S. – Soniche Oblique Strategie a cura di Mario Gazzola per Arcana: è un indizio di qualcosa di più esteso che tu hai in cantiere? Magari un romanzo o una raccolta di racconti?
No, forse è solo l’indizio della prossima cosa che non farò. Penso che le dichiarazioni d’intenti legati alla creatività siano una maniera subdola che, surrettiziamente, mettiamo in atto per tenerci bene a distanza da nuovi progetti (che ci spaventano o che non abbiamo ancora bene in chiaro) e che quindi il solo fatto di parlarne, a volte, è uno dei tanti modi perversi di allontanarci da essi e di non fare, piuttosto che il contrario. Certo, un libro lo vedo sfumato all’orizzonte come un miraggio sahariano, ma cosa, come e perché ancora non so. So soltanto che lo scriverò quando il processo di gestazione sarà compiuto. E si scriverà, in un certo senso, da solo.