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Jimi Hendrix ha inventato la chitarra elettrica come la conosciamo oggi e creato una musica che a distanza di cinquant’anni mantiene intatta la sua magia. Un po’ stregone, un po’ poeta, il primo bluesman dell’era spaziale

di Riccardo Bertoncelli
cover story integrale pubblicata su Vinyl n.6 (febbraio 2019)
foto: Chuck Boyd © Authentic Hendrix
leggi online la parte uno, due e tre della cover story su Vinyl blog
dal 15 marzo 2019 sarà in edicola
Band Of Gypsys, seconda uscita della collana Jimi Hendrix Vinyl Collection

Jimi amava la vita di un amore irrefrenabile, ma soprattutto amava la musica. Non faceva altro notte e giorno, inventare comporre suonare, magneticamente incollato alla sua chitarra, “Lucille”, e ai prodigiosi strumenti che un tecnico oggi dimenticato, Roger Mayer, inventava per lui, e un engineer entrato nella leggenda, Ed Kramer, metteva a frutto alla consolle.

Quando voleva svagarsi, aveva il traffico di ragazze cantato tra il serio e il faceto in una sua canzone famosa. Ma poi finiva in qualche club a ficcare il naso, e in men che non si dica era sul palco a duettare con il protagonista della serata. O più facilmente si rintanava fino alle ore piccole in uno studio e registrava registrava registrava. Chilometri di costosissimi nastri che agli appassionati avrebbero procurato pura gioia e ai discografici potenti emicranie. Salì a tal punto la bolletta di quegli studi affittati, che gli stessi padroni del vapore consigliarono a Hendrix di aprire una propria sala: avrebbe risparmiato.

A Jimi sembrò un sogno. Ci lavorò tutta la primavera e l’estate del 1970 e il 26 agosto al Greenwich Village di New York, 52 West 8th Street, inaugurò con una grande festa i suoi Electric Lady Studios.

Nemmeno un mese più tardi moriva a Londra, in circostanze drammatiche e mai chiarite. Il destino gli aveva giocato il più crudele degli scherzi.