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Jimi Hendrix ha inventato la chitarra elettrica come la conosciamo oggi e creato una musica che a distanza di cinquant’anni mantiene intatta la sua magia. Un po’ stregone, un po’ poeta, il primo bluesman dell’era spaziale

di Riccardo Bertoncelli
cover story integrale pubblicata su Vinyl n.6 (febbraio 2019)
foto: Ulvis Alberts © Authentic Hendrix
leggi online la parte uno e due della cover story su Vinyl blog
dal 1 marzo 2019 è in edicola
Axis: Bold As Love, prima uscita della collana Jimi Hendrix Vinyl Collection

Hendrix era un fenomeno anche in scena, e questo era un bonus ma anche un subdolo pericolo.

«Non è possibile raccontare tutto quello che faceva con il corpo», rievocò una volta Mike Bloomfield. «Si muoveva con tutti i trucchetti usati dai chitarristi neri fin dai tempi di T-Bone Walker e Guitar Slim, suonava la chitarra tenendola dietro la testa o grattando le corde con i denti. Con lui l’esibizionismo musicale toccò nuovi livelli. Sbatteva la chitarra contro un fianco. Era un gesto sfrontato e produceva un suono di feedback ruggente, gracchiante. I movimenti del corpo erano un tutt’uno con quello che suonava, tanto che non sapevi dire cosa fosse la conseguenza dell’altro».

Un altro illustre collega, Frank Zappa, esaltò la stessa cosa in un celebre saggio per la rivista Life. «Assistendo a una sua esibizione dal vivo, è impossibile fermarsi all’ascolto. È una musica che in realtà ti prende e proprio ti mangia vivo». Zappa aggiungeva anche una notazione sessuale, e sarà stato anche malizioso, ma non sbagliava. «Il pubblico femminile pensa di Hendrix che sia bellissimo; incute un po’ di paura forse, ma soprattutto è molto sexy. E i ragazzi sembrano soddisfatti del fatto che le loro ragazze siano eccitate sessualmente da Hendrix: solo in pochi mostrano risentimento e invidia. Sembrano arrendersi e dire: “Lui ha un quid che io non ho… e chissà se mai lo avrò. Però voglio provarci, voglio essere come lui”. Allora si sforzano di emularlo e vanno a comprare una Fender Stratocaster, un Arbiter Fuzz Face, un pedale wah wah della Vox e quattro amplificatori Marshall».

Il rischio era naturalmente quello che il teatrino e la fascinazione prevalessero sulla musica, che anziché dare più forza alla performance portassero lo spettatore fuori strada.

«Non voglio che qualcuno pensi alla Experience solo in un balenìo di luci, di movimenti e di balzi alla cieca», implorava Jimi. Be’, lui non voleva ma era quello che accadeva, o che rischiava facilmente di accadere. Il lato scenico, per qualcuno, assorbiva tutto il resto, con effetti anche tragicomici, come quella volta in Finlandia in cui un eccitato presentatore annunciò Hendrix come «un mangiatore di chitarre».

Così per un certo periodo si trascinò un dissidio fra Jimi e il suo pubblico; lui attentissimo, anche esasperatamente, al lato tecnico e sonoro, i fan smaniosi di fare festa e di sguazzare in quel pazzo teatro, qualunque cosa fosse.

Leggo una recensione di quegli anni, una sera in cui Jimi venne beccato dal pubblico perché perdeva tempo ad accordare la chitarra. «Alla gente non interessava se Hey Joe era stonata. Volevano solo avere qualche suono nelle orecchie, e adorare. Volevano solo che lui succhiasse la chitarra e se la strofinasse contro l’uccello. Non erano minimamente interessati alla musica. Jimi invece voleva, come sempre, suonare morbido e caldo, e lo fece. Quando poi scopò la chitarra, il pubblico gemette e ondeggiò. Lui li guardò con aria distrutta e capì che non percepivano nulla di quello che lui cercava di fare, e che neppure ne erano interessati».

[continua…]