Condividi su

Una canzone del premio Nobel nel suo nuovo disco “romano”. Un tour europeo, l’amore per i vinili. Abbiamo incontrato Jack Savoretti, l’artista anglo-italiano, che vive la musica come sua colonna sonora.

di Silvia Gianatti
intervista integrale pubblicato su Vinyl n.8 (maggio 2019)

[foto: Drew de F Fawkes – licenza: Creative Commons Attribuzione 2.0 Generico]

Singing to Strangers è un doppio vinile di cui Jack Savoretti, all’anagrafe Giovanni Edgar Charles Galletto Savoretti, classe ’83, ha curato ogni singolo dettaglio grafico e sonoro. Dodici tracce, quindici nella versione deluxe, da vivere come fosse la colonna sonora di un film mai visto di cui è lui stesso protagonista ma in cui spera si ritrovi anche l’ascoltatore, in una sceneggiatura dal sapore felliniano, dove non conta più il singolo momento, ma il sentimento.

Registrato interamente negli studi di registrazione di Ennio Morricone, suonato dagli artisti della sua band storica, vede l’artista nato a Londra, da papà italiano, nonno partigiano e mamma di origini tedesco-polacche, compiere un’evoluzione musicale.
C’è consapevolezza, c’è il riconoscere i propri demoni artistici in una nuova dimensione di serenità, dove non fanno più paura ma vengono celebrati per quello che sono. C’è la voglia di suonare abbandonando la veste di cantautore puro, scegliendo di voler fare un album italiano, cantato in inglese, trovando il coraggio e l’arroganza di farlo proprio nello studio di Roma: «Mi ha fatto effetto l’odore di altri tempi, senti ancora il tabacco nelle mura. I tappeti sono blu. Ti sembra di percepire la musica che ci è passata, è la stessa sensazione che ho provato solo ad Abbey Road. Lo studio di Morricone non è un museo, è ancora vivo».

Perché Singing to Strangers?
Questo titolo mi è venuto in mente un anno e mezzo fa, ho sentito mia figlia che parlava con una sua amichetta che le stava chiedendo che lavoro facesse il suo papà. Ha risposto «Non lo so, va in giro a cantare agli sconosciuti».
Avrei voluto correggerla, in fondo faccio molto di più. Poi però ho capito che è vero, faccio proprio quello. È stata l’idea da cui partire per un album che volevo fosse la colonna sonora di un film che non esiste. Di uno che va in giro a cantare agli sconosciuti per poi tornare a casa e imparare a gestire l’amore che prova per i suoi figli, per sua moglie.

Il titolo dell’album è anche una traccia del disco.
È stata l’ultima che ho scritto. Sentivo che all’album mancava un pezzo, mi sono chiuso in studio con il mio chitarrista provando a tirare fuori le parole di un brano che si chiamasse proprio come il disco. Per spiegare cosa vuol dire per me cantare agli sconosciuti.

Esce in vinile.
Ho messo tanto amore in quest’edizione, mi sono dedicato all’artwork, ho voluto due sleeve, con i testi, come si faceva una volta. Ho messo il simbolo sul vinile, come faceva la Decca, ho inserito gli autori delle canzoni, dentro ai titoli, sul disco.

Perché è un album diverso?
Gli ultimi due facevano parte dello stesso periodo della mia vita. I temi, l’energia, la frustrazione che c’è dentro, sono gli stessi. Questo è arrivato alla fine di un ciclo, di un viaggio durato quasi cinque anni di tour. Sono andato via da Londra, ho trovato casa in campagna, ho una moglie, due figli, tre cani.
Mi sono ritrovato circondato da tutto quello che ho sempre voluto e mi è sembrato ironico. Dai 16 ai 34 anni ho sempre guardato avanti, puntando al successo, alla soddisfazione. E invece ho trovato la felicità, la libertà, quando mi sono fermato. Ho fatto un album per celebrare tutto quest’amore. Un album romantico. I miei demoni non se ne andranno mai, ma qui li celebro.

[continua sabato 8 giugno con la seconda parte]