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In tre anni è diventato uno dei cantautori più forti del panorama italiano. Ora si prepara a entrare nei teatri, accompagnato dallo GnuQuartet. Abbiamo parlato di musica, l’unica cosa che conta

di Silvia Gianatti – pubblicata su Vinyl n. 5

Un violino, messogli in mano da piccolo dalla mamma violinista e presto abbandonato. Una tastiera desideratissima, ricevuta in regalo da ragazzo, una chitarra iniziata a suonare a causa di un infortunio alla caviglia che gli impediva di suonare il pianoforte.

Le prime canzoni, i primi gruppi. Nel 2000 è il chitarrista degli Ameba4, band che va anche a Sanremo e dopo l’esperienza del Festival si scioglie. Poi frontman de La Fame di Camilla, con cui torna a Sanremo nel 2006. Le prime esperienze senza grande riscontro, i primi no sbattuti in faccia dalle case discografiche, l’inizio di una carriera da autore che lo porta a firmare i brani che collezionano dischi di platino di tanti suoi colleghi, da Marco Mengoni a Patty Pravo, tra gli altri. L’improvvisa lucidità che lo porta a dire che forse è destinato a fare quello, l’autore. La caparbietà di voler insistere, fino all’incontro con la sua attuale casa discografica che decide di investire su di lui. Un nuovo Sanremo Giovani nel 2016, con Odio le favole, un primo album, la partecipazione tra i Big l’anno successivo, con un secondo posto e il Premio della critica, che spesso vale più della vittoria.

E la vittoria, l’anno dopo ancora, in coppia con Fabrizio Moro. In tre anni (e tre album) gli è cambiata la vita. Con il risultato di poter vivere ora, fi nalmente, di musica senza fermarsi mai: «Ho un debito nei confronti della fortuna, devo ripagarlo investendo tutte le mie energie in quello che sto facendo». Tanto da ripartire, dopo 40 date estive nei luoghi all’aperto più significativi d’Italia e più di centomila presenze, con un nuovo tour, questa volta nei teatri. Con sold out in 24 ore e raddoppi già annunciati. La musica per lui è sempre al centro. Ed è proprio dalla musica che partiamo.

L’intervista

Musica in vinile, che cosa ne pensi?
Sono un ascoltatore di vinili, per fortuna è tornato il vinile. È proprio un bell’oggetto in sé. Certo c’è differenza tra i vinili originali e quelli ristampati oggi, nelle tecniche di registrazione. Siamo abituati ad attribuire al vinile un suono, ma non è il disco che ha quel suono, bensì le macchine con cui si registrava la musica. Tendiamo ad attribuire quel suono al supporto, ma se registri in digitale e riversi in vinile, rimane l’oggetto.

Quindi ha senso stampare in vinile tutte le novità?
Chi è che decide cosa puoi stampare o cosa no? Credo sia giusto, non c’è limite a quello che può finire su disco. È una questione di gusti, ma non ci può essere un giudice che decide chi “merita” di finire in vinile e chi no. Certo, Pink Floyd e Beatles associati al rap attuale fa strano, ma è un criss cross interessante.

Sei un ascoltatore?
Quando ho tempo li ascolto. Quando voglio ascoltare musica ascolto in vinile. Non ne ho tantissimi.

Quali sono i tuoi tre dischi immancabili, in vinile?
Abbey Road
, Beatles. Dark Side of the Moon, Pink Floyd. Ok Computer, Radiohead. Non sono molto nazionalpopolare con le mie scelte musicali, ma ognuno ha i suoi gusti.

Torniamo all’Italia invece, chi sono i cantautori che ti hanno accompagnato?
Ivano Fossati. E Vasco. Se vuoi scrivere canzoni devi ascoltare chi lo sa fare meglio di te. Questo non è un lavoro che impari ma un mestiere che rubi. E lo rubi ascoltando. Esattamente come quando impari una lingua. Non ti rendi conto, ma mentre ascolti stai imparando, ti immergi, con chi parla bene quella lingua. È lo stesso con le canzoni.

Le tue canzoni ora ripartono dai teatri. Come sei arrivato all’idea di questo tour?
Volevo fare un’esperienza diversa, con un suono diverso. Il teatro assomiglia a un pianoforte antico, quando tu lo suoni parte di quella musica resta lì e se il pianoforte ha molti anni è abitato da tutte le note che sono state suonate prima da chi l’ha posseduto. Per i teatri funziona allo stesso modo. Percepisco l’energia di tutti quelli che ci sono entrati prima di me. Ti gira intorno, non va via. Ecco perché i teatri. E mi piaceva l’idea di rivestire le canzoni in un modo nuovo.

Arrivi da un precedente tour molto intenso. Avevi annunciato una pausa di un anno. Ed eccoti invece di nuovo pronto per un altro tour.
Per me tre mesi valgono un anno. Stare fermo mi annoia. Mi fermerò magari dopo. Volevo fare una cosa diversa, dopo tre anni di concerti in elettrico a tutto spiano. Volevo rallentare dal punto di vista sonoro. I musicisti suonano. Da tre anni vivo nel modo in cui volevo vivere. Facendo quello che volevo fare. E cerco di farlo appieno.

C’è un teatro in particolare in cui non vedi l’ora di suonare?
Il teatro Petruzzelli, quello di casa mia, a Bari. Non ci sono mai entrato, è una vergogna ma è così. Entrarci ora per suonare, devo dire che fa un certo effetto.

Con te, sul palco, ci sarà lo GnuQuartet. Come hai coinvolto questo quartetto?
L’estate scorsa ho suonato a Risorgimarche, il festival organizzato da Neri Marcorè. C’erano anche loro e ne sono rimasto impressionato. Pensavo fossero tantissimi musicisti sul palco, erano solo quattro. Avevo già in mente il tour nei teatri, ma ascoltandoli ho capito che volevo farlo con loro, così.

L’arrangiamento sarà completamente nuovo?
Lo lascio a loro. Per la prima volta canterò canzoni che non ho arrangiato io. I pezzi tirati e veloci sono sicuramente i più difficili da interpretare, ma il risultato finale è interessante, tra momenti di intensità. L’escursione dinamica sul palco di un teatro ti permette di godere appieno della musica che stai facendo, perché crea un cambiamento di ritmo incredibile, sia in chi suona sia in chi ascolta, come le onde del mare. Non vedo l’ora.

Chi ha scelto il repertorio che suonerete?
Lo abbiamo scelto insieme. Ci siamo rinchiusi un giorno in studio, abbiamo ascoltato i miei tre dischi, più qualche cover che ci piace ascoltare e che ci piacerà suonare. In base ai gusti. Loro hanno selezionato subito le canzoni che io credevo più difficili da eseguire. E questa cosa mi è piaciuta moltissimo. Abbiamo deciso di creare un percorso variegato.

Quanti brani?
Portiamo una trentina di canzoni, per una scaletta di non più di 22 brani. I tempi in teatro sono più dilatati rispetto a un concerto fatto nei club o palazzetti. Prepareremo più canzoni per cambiare. Sicuramente farò almeno un paio di cover, Muse e Radiohead.

Che cosa ispira le tue canzoni?
Le vite degli altri, la comunicazione. Quando sento che arriva il momento di dire qualcosa, mi devo fermare e lo devo dire. Cerco di raccontare in maniera diretta, non mi piacciono i giri di parole.

Hai già nuovi brani?
Ho sempre nuove canzoni. Nel disco live che esce con il Dvd del concerto al Forum ho aggiunto due inediti. Ogni brano e idea che si muove nella mia testa, ha bisogno di tempo. Ho lavorato in studio per molto tempo, facevo tutto da solo. Questo mi ha dato grandi possibilità di comprensione di quello che sto facendo.

La musica è il tuo mezzo per stare bene?
È un modo per guarire, però non scrivo quando sto male, ma quando accadono cose. Spesso cerco di immaginare come sarebbe se fossi diverso in quel momento. Come se abitassero tanti me al mio interno, che di volta in volta prendono la parola. Questo induce alla diversità di una produzione musicale che se no porterebbe sempre allo stesso risultato. E io mi annoio a fare sempre le stesse cose.

Come ti vedremo sul palco?
Canterò e suonerò. Chitarra, pianoforte, drum station, synth loop… Fino a qualche anno fa mi esibivo di fronte a dodici persone, con la mia chitarra acustica e gli altri strumenti. Sarà una sala prove allargata. Con la musica bisogna giocarci, se non ci giochi non ti diverti. Play vuol dire anche giocare.

Quel che conta insomma è suonare?
Sempre. Faccio quel che amo, vado avanti finché ce n’è.