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Il punk italiano vive la sua stagione più autentica tra il 1978 e il 1979, battezzata al concerto di Adam and the Ants a Milano, dove suonano anche i Decibel di Enrico Ruggeri. Che ci racconta tutto…

di Giuliano Donati e Fred Ventura
intervista integrale pubblicata su Vinyl n.8 (maggio 2019)

[continua da “Ho portato il punk a Milano!”: parola di Enrico Ruggeri (pt.2/3)]

È nata così l’idea del concerto alla Piccola Broadway, il primo concerto punk a Milano, giusto?
In quel clima politico era difficile soprattutto suonare, perché gli unici graditi da chi organizzava concerti erano i cantautori e i gruppi che parlavano di lotta di classe, con le eccezioni di pochi gruppi prog. Già nel ’74 avevamo suonato al liceo Einstein, portando per la prima volta in Italia sul palco le canzoni dei Roxy Music e lasciando tutti di stucco. Poi nel nostro repertorio sono entrati molti altri pezzi di quel genere glam e decadente, come Sweet Jane e I’m Waiting For The Man di Lou Reed. Ma nel 1977 la distanza era ancora più grande e l’ondata del punk inglese aveva dato voce a chi come noi sentiva il bisogno di cambiare da molto tempo. L’idea del concerto alla Piccola Broadway di via Redi (angolo Buenos Aires, a Milano) è nata nella casa di un amico che abitava di fronte al locale. Era il 4 ottobre 1977 e i volantini di quel concerto hanno scatenato una reazione che ha superato le nostre migliori aspettative.

Quali sono stati poi i concerti punk più importanti dell’epoca a Milano e in Italia? C’è stato qualcosa prima o dopo quello famoso di Adam and the Ants dell’ottobre 1978?
Il primo vero concerto punk italiano poteva essere quello degli Heartbreakers allo Sporting Club di Santhià, in provincia di Vercelli, il 23 dicembre 1977. Noi Decibel eravamo la band di apertura. Poteva essere un evento epocale, ma alla fine i protagonisti hanno dato buca e così abbiamo suonato solo noi. Il pubblico è rimasto di stucco perché si aspettava un concerto natalizio e non una band punk! Ci siamo rifatti nel maggio del 1978 aprendo il concerto degli XTC al Teatro Tenda di Varese. Noi stavamo portando il punk in Italia, mentre gli XTC facevano già parte della nuova ondata post punk e new wave in arrivo da USA e Inghilterra, insieme a Stranglers, Costello, Ultravox, Police, Talking Heads, Devo e altri ancora. Pochi mesi dopo, Roberto D’Agostino ci ha organizzato due concerti al Titan di Roma, che sono stati davvero l’apice della carriera punk dei Decibel. Infatti sono finiti anche con qualche rissa. Comunque il più importante e anche l’ultimo nostro concerto punk è stato quello del 16 ottobre 1978 a Milano con gli Adam and the Ants all’X-Cine, oggi Teatro Menotti di Milano. Tutto è nato da un personaggio del sottobosco punk milanese, una certa Rosso Veleno, che ci ha contattato perché sapeva che noi avevamo l’impianto. È stata lei a organizzare l’arrivo di Adam Ant a Milano. Quel nome all’epoca era sinonimo di punk inglese al cento per cento. Era una delle 4 o 5 band di culto che ruotavano intorno ai Sex Pistols e che hanno fatto parte del punk della prima ora, quello di Siouxsie and The Banshees, dei Sex Pistols, del film Jubilee e così via. Ragion per cui abbiamo accettato di suonare gratis. Adam è arrivato a Milano il giorno prima e a me è toccato il compito e l’onore di portarlo in giro per la città. Visto da vicino, di giorno, era un tipico inglese gentilissimo e molto timido, con gli occhiali spessi, perfino troppo delicato. Mi colpiva questo suo modo di essere che contrastava con la sua immagine sul palco, dove si toglieva gli occhiali e metteva in scena un punk feroce e violento, raffinatissimo, con un’estetica che tendeva al sadomaso. Purtroppo quella volta l’emozione non ha giocato a nostro favore e il nostro concerto, contrariamente a quello di Adam, non è passato alla storia come un successo. La formazione però me la ricordo ancora: Pino Mancini alla chitarra, Roberto Turatti alla batteria, Paolo Lovat al basso al posto del solito Erri Longhin e io alla voce. Quei Decibel si sono sciolti poco dopo. Ma forse meglio così, perché il punk era già finito ed era già forte la voglia di cambiare aria e di fare altre cose.

Poi Sanremo e il successo?
Andare a Sanremo è stata la svolta che volevo a tutti i costi. Quando me lo hanno proposto ho detto subito sì. Lo avevano proposto anche agli Skiantos, che però poi nelle fasi di selezione sono stati scartati. Loro hanno così potuto continuare a sputare sull’establishment. Noi invece siamo passati dall’altra parte. In quegli anni andare a Sanremo, infatti, voleva dire passare dalla parte dei padroni. Io avevo le scritte sotto casa che recitavano «Servo della borghesia». Però noi ci siamo divertiti e l’abbiamo vissuta bene, perché eravamo veramente molto diversi da quel mondo. Quando siamo arrivati c’erano gruppi tipo La Bottega dell’Arte e i Collage, con i capelli lunghi e le voci in falsetto. Poi c’era Pupo, c’era Toto Cutugno e veramente quelli che per noi erano il passato, morto e sepolto, anche se poi sono durati altri quarant’anni anni. Noi eravamo i marziani. Avevo tutti contro: da una parte i protagonisti storici di Sanremo e dall’altra il nostro pubblico che si sentiva tradito. E in quegli anni, quando avevi tutti contro rischiavi veramente la vita. Non c’è stata più un’epoca come quella. Si veniva dagli anni di piombo e per la strada i ragazzi si sentivano autorizzati a usare il randello e ad ammazzarsi. Il lato positivo, però, è che poi tutto quello che ho vissuto dopo è stato in discesa. Non ci sono stati altri periodi così.