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Il punk italiano vive la sua stagione più autentica tra il 1978 e il 1979, battezzata al concerto di Adam and the Ants a Milano, dove suonano anche i Decibel di Enrico Ruggeri. Che ci racconta tutto…

di Giuliano Donati e Fred Ventura
intervista integrale pubblicata su Vinyl n.8 (maggio 2019)

[continua da “Ho portato il punk a Milano!”: parola di Enrico Ruggeri (pt.1/3)]

Come si muoveva un’anima punk in quegli anni, tra il potere della sinistra da una parte e i sanbabilini dell’estrema destra dall’altra?
Con grande difficoltà. Perché, comunque ti muovevi, rischiavi di prendere botte e insulti. La sinistra era monolitica e anche omofoba. I dischi di David Bowie venivano visti con sospetto perché la sua immagine non corrispondeva al cliché del cantautore con la camicia a scacchi e la barba. In tutto questo, poi, dovevi anche cercare di non farti associare ai sanbabilini, peraltro lontanissimi dai miei gusti visto che ascoltavano la dance e impazzivano per John Travolta e Donna Summer. Tutta musica rispettabilissima ma che all’epoca rappresentava la scelta peggiore possibile. Bisognava dribblare queste due realtà. Ma non era facile, perché non avevamo l’eskimo, non avevamo i capelli lunghi e la barba e io avevo anche la basetta alla Lou Reed di Rock N Roll Animal, per non parlare dei Ray-Ban, che nel mio caso erano occhiali da vista ma che, come ho raccontato più volte, mi hanno fatto rischiare spesso le randellate.

Alla fine, però, il punk è arrivato in Italia… ed è diventato anche di sinistra.
Certo, questo è stato l’ennesimo qui pro quo paradossale. Dal 1980 in poi, il punk è diventato la musica dei centri sociali, con i gruppi della Cramps e della Great Complotto, oltre a quelli dell’area di Firenze, da cui poi sono emersi i Litfiba, i Cafè Caracas, i Moda (da non confondere con i Modà di adesso). Senza dimenticare i DeNovo di Catania e i CCCP di Reggio Emilia, che sono diventati i più famosi di tutti. Per i Decibel è stato un paradosso, come dicevo, perché mentre la Cramps negli anni ’80 proponeva gruppi punk, tutti di sinistra, noi andavamo a Sanremo venendo nuovamente etichettati come traditori. Non a caso, al concerto dei Ramones del 1980 a Milano, i Decibel vengono presi di mira con cori di insulti da parte del pubblico. Ho dovuto aspettare che si spegnessero le luci per entrare e mischiarmi nella folla che ballava Hey Ho Let’s Go. Tutti i concerti punk di quel periodo ho dovuto vederli con il cappellino e senza i miei occhiali bianchi per non farmi riconoscere. Salvo al concerto dei Damned all’Orfeo, nel 1980, dove l’ho fatta grossa presentandomi con i capelli ossigenati, la pelliccia e gli occhiali bianchi. Ho voluto esagerare. E infatti non mi hanno fatto entrare.

E prima dei Decibel che cosa c’era di punk in Italia?
Pochissimo. I Krisma di Maurizio Arcieri, che aveva suonato nei New Dada negli anni ’60, avevano pubblicato il lungimirante Chinese Restaurant proprio nel 1977. Erano molto innovativi ed erano anche molto ricchi e si potevano permettere di prendere aerei per andare a vedere i Television a New York o chi volevano a Londra. E ai tempi, se potevi fare tutto questo, alla fine facevi la differenza. Poi c’erano i Gaznevada di Bologna che però sono arrivati a esordire quando ormai erano diventati un gruppo di new wave, con altre influenze. Ma c’era anche la canzone italiana che subiva l’influenza del punk: prima di tutto Faust’o, un vero mistero della musica italiana, che ha fatto tre o quattro dischi molto belli e poi è sparito. Poi Alberto Camerini e Ivan Cattaneo. Era veramente punk al cento per cento invece il nostro primo album, Punk, datato 1978, e anche il nostro concerto in via Larga nel giugno del 1979, in una galleria d’arte, intitolato Sex Party Punk e organizzato da Graziano Origa, che per noi era l’Andy Warhol italiano, artista, fumettista e illustratore, oltre che giornalista e poi direttore della rivista «Gong». è stato uno dei primi a darci fiducia già nel 1977. E lui raccoglieva intorno a sé tutta l’intellighenzia milanese, tanto che quella sera a vederci c’erano, tra i tanti, Maurizio Arcieri e Christina Moser dei Krisma, Mario Luzzatto Fegiz, Giulia Borghese del «Corriere della Sera», il famoso designer Giancarlo Iliprandi e Mizio Turchet, uno dei geniali art director di Fiorucci. E al mixer c’era Alberto Camerini!

Che ruolo hanno avuto i viaggi a Londra in quell’epoca?
Londra in quegli anni era una città dura, che non ti filava nemmeno di striscio, tanto meno se eri italiano. Le prime volte ci si andava in macchina, a comprare gli amplificatori Marshall. Quando eri lì, poi, ti perdevi tra le proposte musicali e non sapevi cosa vedere per la quantità di concerti che c’erano ogni sera. Andare a Londra mi è servito anche per farmi venire molte idee su come proporci sulla scena musicale italiana. Malcolm McLaren che usa i Sex Pistols per scandalizzare l’Inghilterra pre-thatcheriana degli anni ’70 è stato un segno rivelatore. Lui ha portato i suoi ragazzi in televisione scandalizzando tutti. Poi in occasione del Giubileo ha pubblicato la cover di God Save The Queen con la foto della regina con la spilla da punk. Lui in quel 1977 è riuscito a colpire il nervo scoperto della società inglese. Che cosa potevo fare io? Attaccare il governo Andreotti quando già lo facevano tutti aveva poco senso. E così ho deciso di provocare quell’establishment fatto di movimenti studenteschi, Lotta Continua, Avanguardia Operaia e così via. Quelle erano le realtà monolitiche e inattaccabili dell’Italia di allora.

[Continua il 30 giugno con la parte 3]