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Il “salto nel buio” di un monumento della canzone, le letture geniali dei maestri del prog e la storia travagliata di un tour epocale.

Il disco dal vivo è considerato una tappa obbligata di ogni grande artista, ma poche opere meritano poi uno spazio di rilievo nella storia della musica: la percentuale è ancora più esile quando si guarda l’Italia.

Un’eccezione straordinaria è In concerto – Arrangiamenti PFM di Fabrizio De André, che immortala non soltanto un tour, quello andato in scena quarant’anni anni fa nei teatri e palasport italiani dalla fine del dicembre 1978 all’inizio del febbraio 1979. La collaborazione del più grande cantautore dell’epoca con la band di maggiore successo fotografa mutamenti storici, un mix di personalità rarissimo e soprattutto l’identità di un cantautore che valutava la musica non meno della parola.

Nascita di un tour

La genesi del tour e del disco è all’insegna del dubbio, come ha raccontato spesso Franz Di Cioccio, ma la voglia di non accontentarsi convince De André a mettersi nelle mani della PFM, a cui nel frattempo si era unito il bassista Patrick Djivas.

Quando iniziano le prove, in un cinema-teatro parrocchiale di Corsico, fuori Milano, i rapporti sono altalenanti: per un mese si suona, si discute, si litiga, a volte per ragioni umorali, ma spesso per la proverbiale meticolosità del genovese.

A Premoli, Djivas, Mussida e Di Cioccio, si aggiungono due giovani di talento: Roberto Colombo alle tastiere e alla chitarra e Lucio “violino” Fabbri.

Le cose vengono fatte in grande: dall’Inghilterra arriva uno studio mobile Manor seguito da un team anglo-italiano guidato dal tour manager Gino Lazzaroni e con un fonico d’eccezione come Mike Henley.

Gli arrangiamenti

Alcuni arrangiamenti recano una firma individuale evidente. Franco Mussida si occupa, tra le altre, de La canzone di Marinella e Il pescatore, forse uno dei brani che più ha mantenuto l’impronta di quel tour, la vera hit del disco, potente, intelligente e funky.

Merito di Premoli e Colombo, invece, il controtempo e l’assolo di Moog di Bocca di rosa; mentre su Un giudice la fisarmonica funambolica di Premoli regala uno dei momenti strumentali più intensi del live.

Gli spazi solisti non mancano, ma hanno funzione di voci narranti, controcanti profondissimi come il basso fretless languido di Patrick Djivas, che introduce e poi sorregge Giugno ’73, o la marimba di Di Cioccio su La guerra di Piero.

In altri casi, il contributo della PFM è maieutico: l’intro mistica de La Canzone di Marinella suona come il richiamo sciamanico degno di un poeta che parla con l’ultraterreno; o il moog che apre Volta la carta, dando nuovo vigore a un brano che già sapeva di fusion.

Un tour difficile

L’incisione inizialmente era prevista al Palalido di Milano, ma per problemi alla voce di Fabrizio si optò per il Teatro Tenda di Firenze (13-14 gennaio) e per il palasport bolognese (15-16 gennaio). Non fu solo la voce a tormentare quel tour: ci furono le contestazioni degli autonomi, il 22 gennaio a Roma e i disordini fuori dal palasport di Napoli il 24 gennaio.

Leggi l’articolo integrale su Vinyl n.5