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E’ difficile scegliere un gruppo di titoli nell’ampia e variegata discografia di David Bowie. Abbiamo selezionato una sorta di percorso musicale, un viaggio verso il pianeta David, da integrare a piacere…

di John Earls – Stefano Solventi
cover story integrale pubblicata su Vinyl n.7 (marzo 2019)
[Continua da David Bowie, let’s dance – pt. 6]

1969, David Bowie / Space Oddity
È il secondo album di Bowie, poi ribattezzato nel 1972 dalla RCA con il titolo della sua canzone più famosa, Space Oddity, e ripubblicato con la famosa foto di Bowie con i capelli rossi in copertina. È già una summa all’ennesima potenza di tutto il suo talento con la musica folk,  prog e decadente che poi illuminerà tutte le sue migliori produzioni.

1970, The Man Who Sold The World
Acustico, hard rock, dark wave, ambient, visionario all’ennesima potenza, è da molti considerato l’album che ha dato inizio alle leggende extraterrestri di David Bowie. È stato forse il disco più citato e amato di Bowie da parte dei musicisti venuti dopo di lui, da Siouxsie Sioux a Robert Smith dei Cure, da Gary Numan a John Foxx degli Ultravox, fino a Kurt Cobain e Trent Reznor dei NIN.

1971, Hunky Dory
Contiene la famosa Queen Bitch, un omaggio ai Velvet Underground.  Nel disco suona anche Rick Wakeman.  Il brano The Bewlay Brothers è dedicato al suo mito di gioventù, il fratello Terry, malato  di schizofrenia. La copertina è ispirata all’attrice preferita di Bowie: Marlene Dietrich.

1974, Diamond Dogs
L’album più glam di Bowie, ma anche  quello più ruvido e legato alla sua passione  per i Rolling Stones, tematicamente figlio  del romanzo di George Orwell 1984 e dominato dalle sue visioni post apocalittiche. È l’album dei capolavori di Rebel Rebel e Rock ’n’ Roll With Me, senza contare Sweet Thing e Candidate, per la prima volta quasi interamente suonato da Bowie stesso.

1977, Heroes
Capolavoro berlinese, nato dopo l’esperienza con Iggy Pop e dopo aver conosciuto e condiviso l’ambiente musicale tedesco e in particolare le ricerche d’avanguardia di Brian Eno. Un disco considerato seminale sia per l’avvento del punk sia per la musica progressive moderna. È considerato l’apice di tutta la carriera di Bowie.

1983, Let’s Dance
È l’album del successo globale del Duca Bianco, che qui affronta e perfeziona un’opera di musica disco alla sua maniera, arrivando a venderne oltre 10 milioni di copie, un risultato mai più raggiunto in carriera. Bowie lo ha definito «la riscoperta di uno studente inglese bianco della musica funk dei neri americani» e, infatti, il disco è famoso anche per il contributo chitarristico del bluesman Stevie Ray Vaughan, scoperto e lanciato sulla scena mondiale proprio grazie a questa esperienza.

2016, Blackstar
È l’album finale della sua carriera, uscito il giorno del suo ultimo compleanno (69 anni). È il primo album di Bowie senza una sua foto in copertina e tutto l’artwork del disco, disegnato da Jonathan Barnbrook, e il disco stesso sono pieni di misteriose stelle che appaiono e scompaiono a seconda di come le guardi. È prodotto da Tony Visconti, il produttore anche di Heroes e di molti altri dischi di Bowie.