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All’arrivo degli anni ’80 David Bowie è già un veterano. Il fragile e misterioso Ziggy Stardust si è tramutato in un genio, in un profeta assoluto del trasformismo rock. Generatore e anticipatore di musiche che altri sentiranno solo molto dopo. Eppure qualcosa gli sfugge. Ancora per poco

di John Earls – Stefano Solventi
cover story integrale pubblicata su Vinyl n.7 (marzo 2019)

[Continua da David Bowie, let’s dance – pt. 4]

Al Live Aid del 1985 Bowie si presenta con un mini best of di quattro canzoni. Sembra reticente a presentare il nuovo materiale, anche se sta vivendo un periodo positivo come artista: ha recitato nel film fantasy Labyrinth, la sua pellicola di maggior successo, e si sente decisamente rigenerato in vista del prossimo album Never Let Me Down.

Questa volta la scelta del produttore è molto più sensata o almeno sembra tale. Nel 1986 David Richards è reduce da Blah-Blah-Blah di Iggy Pop e A Kind Of Magic dei Queen e tutto fa pensare che sia l’uomo giusto per realizzare un album che rinnovi il successo commerciale di Let’s Dance. Purtroppo la sua presenza non lascia segni tangibili e il successo dell’album sarà scarso. La realtà, però, è che Bowie ha trovato la sua dimensione più appagante fuori dallo studio di registrazione.

Il Serious Moonlight tour, per la promozione di Let’s Dance, gli ha spalancato i cancelli degli stadi. Ora, dopo tre anni di duro lavoro, Bowie è pronto a perfezionare il suo format live con il Glass Spider tour. Nonostante all’epoca sia stato tacciato di pretenziosità, il tour è ormai considerato il primo esempio di teatralizzazione del rock in una dimensione da stadio ed è diventato un punto di riferimento per tutti gli artisti. David Mallet, il regista del film del tour, non ha dubbi: «Prima del Glass Spider nessuno aveva fatto qualcosa di simile in uno stadio. I musicisti si limitavano a saltare sul palco come matti mentre suonavano. David, invece, ha rivoluzionato il concetto di tour, ha dato vita a qualcosa che prima non esisteva. All’epoca non avevamo però la sensazione che stessimo facendo qualcosa di innovativo, perché eravamo troppo assorbiti dal lavoro quotidiano. Era tutto così faticoso, richiedeva prove su prove per ogni singolo brano, e le settimane volavano».

Il format ideato da Bowie è una vera sfida anche per i musicisti. Ricorda Carlos Alomar: «La cosa più difficile era non farsi centrare da qualche maledetto ballerino. La coreografia era molto complessa e niente era lasciato al caso. Oggi sul palco di uno show ci trovi un milione di persone ma, di fatto, tutti si ispirano alla formula di Glass Spider. David stava scoprendo un territorio sconosciuto e questo gli ha causato qualche critica. Ma stava solo portando all’estremo i concetti già applicati nel 1974 per il tour di Diamond Dogs e allora nessuno aveva trovato nulla da ridire».

La ricerca di un nuovo livello di successo e popolarità, però, non può non avere contropartite. Reeves Gabrels, futuro chitarrista dei Tin Machine, ricorda come dietro la facciata dell’artista brillante e popolare, Bowie nascondesse un lato più oscuro. Spiega: «David mi aveva confessato che con Tonight aveva cercato di accontentare la EMI. “Mi avevano dato più soldi”, diceva, “e mi sentivo in debito. Avevo fatto un patto con il diavolo ed era tempo di pagarlo”.

La pubblicità per la Pepsi insieme a Tina Turner rientrava nella stessa logica. Negli anni ’80 David aveva lo stesso pubblico di Tina, dei Duran Duran e di Phil Collins. Ma lui non era come gli altri e sapeva di aver perso la strada. Il progetto Tin Machine nasce proprio dalla sua volontà di reagire a tutto quello che era accaduto dopo l’incredibile successo di Let’s Dance». Per Bowie è tempo di voltare pagina. Un’altra volta.

[Continua il 24 aprile con la parte 6]