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È il disco dopo Love. dentro c’è “Love Removal Machine” e non è intitolato Electric. Confusi? Niente paura: stiamo parlando semplicemente di Peace, l’album “perduto” dei Cult.

Facciamo un rapido rewind per inquadrare il momento storico e respirarne le suggestioni. Quando, nel 1985, i Cult fanno uscire Love esplodono: “Rain” seduce l’Inghilterra e “She Sells Sanctuary” diventa un hit radiofonico negli Stati Uniti. Ma, come spesso accade, i momenti di maggior successo coincidono anche con le sbandate più destabilizzanti: e, infatti, già durante il tour di Love i Cult vacillano. Lo dimostrano alcuni dettagli stilistici: Ian Astbury da una lato abbandona i vezzi da gothic rocker e inzia a indossare cuoio e piume, mentre Billy Duffy – anche se mette ancora le camicie con gli sbuffi – tiene la chitarra quasi alle ginocchia, al modo di Johnny Thunders.

E proprio Thunders ci viene in aiuto con un aneddoto, per spiegare cosa stesse accadendo in seno ai Cult: esiste un bootleg in cui Johnny smette di suonare e si rivolge al pubblico con fare incazzoso. “Allora, cosa volete sentire? Roba hippy o roba elettrica?”: questo è esattamente il bivio di fronte a cui sono Astbury e Duffy, in quel lontano 1985 – e infatti quando, nell’estate del 1986, entrano nel Manor Studio di Shipton-on-Cherwell (Oxfordshire) hanno le idee tutt’altro che chiare. E a poco serve la presenza di Steve Brown come produttore (lo stesso che aveva lavorato con loro al disco precedente).

Peace

Quello che ne esce sono 11 brani che devono comporre Peace, il terzo album dei Cult. Il risultato è un mix improbabile di incensi, chitarre effettate, richiami psichedelici e riff hard che proprio non sembrano legare; la band stessa si rende conto che, dopo il successo di Love, una cosa del genere non può funzionare e urge un radicale mutamento di direzione. Billy Duffy ricorda: “Era una questione di sopravvivenza. Avevamo inciso il seguito di Love e forse i pezzi non erano scritti molto bene; in più non andavamo d’accordo col produttore. Spendemmo una montagna di soldi per registrare nel miglior studio d’Inghilterra per fare una schifezza”.

In realtà, almeno in fase iniziale, i Cult pensano di far remixare solo il singolo che hanno individuato (“Love Removal Machine”) a Rick Rubin… ma da cosa nasce cosa e, come ampiamente registrato negli annali, da questo incontro scaturisce poi Electric, che è un vero disco di hard rock sanguigno.

Enter Rick Rubin

I brani di Peace che non vengono reincisi con Rubin (“Conquistador”, “Zap City”, “Love Trooper” e “Groove Co.”) vengono subito riciclati come b-side di altrettanti singoli tratti da Electric. Tempo dopo nell’ep Manor Sessions (1988) escono cinque dei brani scartati: “Love Removal Machine”, “Wild Flower”, “Electric Ocean”, “Bad Fun” e “Outlaw”; mentre solo nel 2000 Peace finalmente esce nella sua forma originaria – inserito nel cofanetto Rare Cult. Ed è così che, finalmente, diviene chiaro il passaggio – altrimenti brusco e inspiegabile – dalle sonorità eteree e psichedeliche di Love a quelle urticanti e taurine di Electric: in mezzo c’è un album bizzarro, poco riuscito, ma a modo suo fondamentale.

Nel 2013, poi, esce anche Electric Peace, doppio disco in cui vengono presentati in combo Electric e il suo predecessore Peace.

(a.v.)