In tour alla scoperta di quattro città che hanno fatto la storia del Blues

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“Il Blues. Scorre attraverso tutta la musica americana”. Lo diceva Wynton Marsalis, trombettista di fama mondiale e primo jazzista vincitore di un premio Pulitzer.

Diceva bene. La storia di questo genere, infatti, è più che mai legata ai suoi luoghi simbolo; e quattro città, da Nord a Sud del paese, sembrano farla da padrone, quando si parla di blues.

Chicago, Illinois

Per almeno 30 anni, il tempio del blues di Chicago è stato il mercato di Maxwell Street. È qui che suonarono artisti locali del calibro di Big Bill Broonzy e icone come Muddy Waters, Little Walter e Howlin’ Wolf. Oggi quella Maxwell Street non c’è più, così come gli angoli resi mitici dal film The Blues Brotherscome il Nate’s Deli, il piccolo locale gestito dai personaggi interpretati da Aretha Franklin e Matt Murphy. Hanno chiuso i battenti anche il Checkerboard Lounge, il teatro che ha ospitato bluesmen locali ed eroi del blues rock come Stevie Ray Vaughaned Eric Clapton, e il Delta Fish Market, l’unico blues club all’aperto di Chicago dove Sunnyland Slim e Johnny Littlejohn anticiparono l’intera scena blues della Windy City.

Della possente scena blues di Chicago, oggi, sopravvivono il B.L.U.E.S. e il Kingston Mines, con i suoi due palchi in cui si alternano continuamente vari artisti. Resistono anche il Blue Chicago, reso celebre da Koko Taylor, regina del female blues, e la House of Blues, dove ogni anno Dan Aykroyd torna a esibirsi sulla scia dei Blues Brothers. Il re dei blues club in attività rimane, però, il Buddy Guy’s Legends, gestito dallo stesso proprietario che – quando presente – non resiste alla tentazione di salire sul palco a suonare qualche pezzo.

Detroit, Michigan

Motown. Certo. Detroit ne è il tempio; ma non è sempre stato così. Erano jazz e blues, un tempo, a dominare. Lungo Old Hastings Street, nell’antico quartiere di Black Bottom – raso al suolo più di 70 anni fa – e nell’area di Paradise Valley si succedevano decine di locali con musica dal vivo – famosi il Paradise Theater, il Club Three Sixes, il Palms, la Harlem Inn e il Flame – che furono ritrovo di vere e proprie icone blues.

John Lee Hooker ne fu assiduo frequentatore. Si narra amasse imbracciare la sua Epiphone Les Paul strimpellando al numero 3530 di Hastings Street, di fronte al Joe’s Record Shop: una vera cattedrale della scena musicale afroamericana locale con più di 35.000 titoli. Tra gli altri, non si può non citare Big Maceo Merriweather– progenitore del genere – e la generazione immediatamente successiva che, oltre al Re del Boogie, includeva Eddie Kirkland e Eddie “Guitar” Burns, Boogie Woogie Red, Doctor Ross, Mr. Bo, Little Sonny e Bobo Jenkins.

Detroit vide, poi, prosperare anche una serie di storiche etichette come la J.V.B., la Fortune, la Sensation e la Holiday. Ma, sfortunatamente per il blues, si trattò di un periodo troppo breve, spazzato via al sorgere degli Anni ’60 dalla decisione di arare Hastings Street.

 Austin, Texas

In America nessuno osa metterlo in dubbio: Austin è la capitale della musica dal vivo; e il blues locale ha un nome e un cognome: Clifford Antone. Il suo blues club, Antone’s– aperto nel 1975 – ha contribuito in modo decisivo a sviluppare la fama della città come capitale della musica live ospitando leggende come B.B. KingJohn Lee Hooker  e Muddy Waters, e la nuova scena blues bianca femminile con Lou Ann Barton, Angela Strehli e Marcia Ball.

Lo stesso Antone aprì anche un negozio di vinili che è attivo ancora oggi al 2928 di Guadalupe Street.

Neanche a dirlo, le vere star di Austin sono ancora Stevie Ray Vaughan e Willie Nelson– idolo del country. Al primo è dedicata una statua in bronzo di quasi due metri e mezzo raffigurante il celebre chitarrista nel suo outfit preferito: cappello da cowboy, stivali, poncho e naturalmente la fidata Stratocaster; al secondo un’intera via.

San Francisco, California

Già dagli inizi degli Anni ’50 San Francisco diventa sinonimo di  flower powerIn particolare, sono i quartieri di North Beach e Haight-Ashbury a imporsi come epicentro della controcultura made in USA grazie alla presenza in città di Jack Kerouac, Allen Ginsberg e gli altri artisti della Beat Generation e di nuove leve quali i Grateful Dead, una giovanissima Janis Joplin e i Jefferson Airplane. È da quella scena che nasce il festival di Monterey che, nel 1967, diventa uno dei grandi manifesti del movimento.

In città, il blues si mischia con rock, folk e psichedelia a creare sonorità uniche. Il Fillmore Auditorium– poi diventato Fillmore West – è l’anima delle esibizioni live. Nel 1971 vi si esibisce anche Aretha Franklin. Degni di nota sono poi il Winterland Ballroom– 5.400 posti in pieno centro – e il Matrix, un’ex pizzeria che è ricordata per aver aperto i battenti ospitando un concerto dei Jefferson Airplane.

Queste storie e molte altre sono raccontate in They Got Blues, la serie Betterly dedicata al blues in vinile