Condividi su

di Andrea Pedrinelli
intervista integrale pubblicata su Vinyl n.6 (febbraio 2019)

[Continua da Burt Bacharach: «Grazie alla musica… e all’Italia» (pt. 1/2)]

La sua carriera è in parte legata anche all’Italia, giusto?
Assolutamente sì. Oltre che considerare il vostro un Paese musicalmente importante, devo confessarle che molto per me è iniziato proprio da voi. Negli anni ’50, infatti, provai a sfondare partendo da Milano, dove però, purtroppo, gli editori non accettavano i miei brani, definendoli troppo difficili per il loro pubblico… Però è stata una palestra importante.
Così come lo è stata suonare per Marlene alla Bussola di Viareggio, in una scrittura molto lunga: tanto lunga che se lei all’improvviso non avesse deciso di tornare in America, chissà, magari alla fine sarei rimasto in Italia. Poi non dimenticherò mai chi ha lanciato Magic Moments, ovvero Perry Como: un italoamericano di origine abruzzese… Come vede l’Italia mi ha segnato in positivo, e molto!

Lei ha lavorato anche con vari artisti italiani, da Mario Biondi a Chiara Civello, a Karima. E di recente ha speso molti elogi per la brava Marzia Bi, che per la Universal, con l’orchestra di Vince Tempera, ha licenziato nel 2018 Tutti quelli che hanno un cuor, rilettura di tredici sue hit nelle versioni italiane firmate negli anni da Don Backy, Cristiano Minellono, Mogol, Franca Evangelisti, persino Ornella Vanoni. Cosa l’ha colpita, di Marzia Bi?
Per me è stata una vera sorpresa. È brava, affascinante, capace di adattarsi con umiltà allo spirito dei brani, dotata di un bellissimo colore vocale, dolce eppure anche sensuale come piace a me. Le sue versioni dei miei pezzi mi hanno trasmesso grande emozione, specie Alfie, Magia e Un ragazzo che ti ama.
Chissà che un giorno non chiami Marzia in America per fare un tour insieme. Intanto approfitto di questa intervista anche per ringraziare Vince Tempera per il rispetto che ha dimostrato per le orchestrazioni originali, che la sua orchestra ha eseguito magnificamente.

Ma come nasce una sua canzone?
Sempre dall’ispirazione, a volte completata da storie vere, a volte da emozioni come gli occhi di una donna.
Poi sulla mia ispirazione interviene il paroliere a darle voce: e in questo Hal David, mancato nel 2012, era il migliore.

Quali sono i brani di Bacharach che Bacharach ama di più?
Direi Walk On By, per ovvi motivi la stessa Magic Moments, e Anyone Who Had a Heart. Ma visto che De Agostini Vinyl è una rivista italiana, le segnalo anche Stai lontana da me, la versione che Adriano Celentano fece di Tower of Strenght l’anno dopo che la scrissi, dunque nel 1962.

E c’è un brano di Bacharach sfortunato, ovvero per lei decisivo ma che non ebbe grande successo?
Sì, un brano che poteva decisamente avere miglior riscontro e che eseguo ancora nei concerti è Message to Michael: lì la protagonista affida a un usignolo un messaggio per l’amato, partito per New Orleans alla ricerca del successo. Vuole dirgli che lo amerà anche se non sfonderà mai. L’avevo scritto al maschile, quel pezzo, in realtà, come Message to Martha: e lo lanciò Adam Faith. Ma la versione che reputo migliore è quella che nel 1966 fu pensata e interpretata al femminile, con il titolo che divenne appunto Message to Michael, da Dionne Warwick.

A proposito, qual è stata l’interprete di suoi brani che lei ha amato di più?
Proprio lei, Dionne Warwick. Sicuramente Dionne. E subito dopo, Aretha Franklin.

La musica cos’è per lei oggi? Scrive ancora?
La musica è ed è sempre stata una terapia. Sapesse quante volte il mio cielo è tornato limpido mettendomi al pianoforte, in momenti di rabbia o nervosismo… E scrivo ancora, certo! La musica è sempre dentro di me e per fortuna le dita corrono ancora, sulla tastiera del piano. Per l’ispirazione poi non c’è problema, anche incontrare giovani appassionate e valide come Marzia Bi mi stimola a continuare a scrivere.
Sa, molti mi definiscono un padre della musica americana: ma visto che gli altri miei “colleghi” in tal senso, da Gershwin in poi, stanno già suonando in cielo, io preferirei restare ancora legato a lungo alle abitudini della vita sulla terra…

Quindi ne è valsa la pena, vivere di musica?
Senza alcun dubbio sì. E non solo perché appena mi mettevo al piano a strimpellare ero attorniato dalle donne più belle del mondo… Il fatto è che la musica è il mestiere migliore che possa capitare a un essere umano.