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Bob Dylan dice di no a Woodstock, ma si lascia convincere dagli inglesi, che nell’agosto del 1969 organizzano il loro festival sull’isola della Manica. Dove è accolto come fosse il Messia.

Articolo pubblicato su Vinyl n.6 (febbraio 2019)
di Giuliano Donati

[Continua da Bob Dylan all’Isola di Wight – pt. 1 di 2]

Il più bel concerto (mai visto)

Dylan alla fine atterra a Heathrow il 25 agosto insieme alla moglie Sara (allora incinta), in ritardo di qualche giorno rispetto al previsto a causa di un incidente occorso al figlio Jesse poco prima della partenza. Viene perciò accompagnato subito a Portsmouth per prendere l’hovercraft che lo porterà sull’isola.
Il primo giorno, raccontano i giornali, Dylan lo passa suonando in compagnia di George Harrison e ovviamente della sua Band. Il 27 agosto c’è la prima conferenza stampa all’Halland Hotel di Seaview. La prima domanda per Bob è diretta: «Perché hai accettato di venire qui?». La risposta lo è molto meno: «Per vedere la casa di Alfred Tennyson».
A un giornalista di NME dichiara molto più onestamente di «non voler più essere il portavoce di nessuna protesta».

Quella session (per pochi) tra Dylan, Clapton e Beatles

Il 28 agosto arrivano anche John Lennon e Yoko Ono, che atterrano in elicottero direttamente a Bembridge, vicino alle fattorie di Forelands Farm dove alloggiano Dylan e seguito.
Nei giorni precedenti al concerto, previsto per il 31, Dylan riceve la visita oltre che degli ex Beatles anche di Eric Clapton e di altri ospiti illustri. Pare che anche i Rolling Stones si trovassero nei dintorni (forse sul loro yacht) e che avessero chiesto di poter suonare con Bob o di essere ricevuti. Qualcuno ha fatto anche i nomi dei Blind Faith e dei Bee Gees tra le rockstar che speravano di essere ricevute dal cantautore.

Tutti lo vedono come un dio. Nonostante le insistenze degli organizzatori, che speravano di vederli tutti assieme sul palco, gli ex Beatles (a esclusione di Paul McCartney che non c’è), insieme a Eric Clapton e ad altri cantautori inglesi, suonano con Dylan. La jam session è epocale (ma solo per i pochi presenti) e avviene lontano dal festival, nella fattoria di Bembridge. Secondo alcuni testimoni, Lennon e Harrison portano con sé uno dei primi test pressing di Abbey Road per ascoltarlo insieme a Bob, che apprezzerà molto: «I love Beatles».
Rikki Far, uno degli organizzatori del festival e tra i pochi testimoni di quelle giornate alla fattoria, protetta costantemente da un rigoroso servizio di sicurezza, racconta di quella jam privata definendola «di gran lunga il più bel concerto che ho visto nella mia vita».
Dylan, raccontano le cronache, ha però anche il tempo di sfidare i quasi ex Beatles a tennis.

Come Hank Williams

Prima di Dylan suona anche la Band da sola, che è in giornata e va alla grande, tanto che su richiesta del pubblico prolunga il suo concerto per oltre un’ora, lasciando il povero Bob in attesa e in preda al nervosismo.
Secondo altri testimoni, però, il ritardo è causato da una trattativa che sta andando per le lunghe con gli organizzatori sull’anticipo che Dylan si aspetta… Mr. Tambourine Man quindi sale sul palco solo alle 11 della sera, invece che alle 9 come previsto.
Dopo aver annunciato che suonerà pezzi già famosi ma con nuovi arrangiamenti, fedele ai programmi mantiene la sua voce il più simile possibile al nuovo mood di Nashville Skyline, decisamente country blues, e soprattutto si presenta vestito di bianco imitando il portamento del mito del country Hank Williams.
«Solo noi musicisti abbiamo capito la citazione», dirà Eric Clapton, «il pubblico non ha colto…».

Il pubblico, però, dopo un’iniziale affluenza moderata, accorre numeroso, e soprattutto, contrariamente a quanto è successo a Woodstock, è in religiosa attesa del gran finale.
Quando Dylan imbraccia la sua chitarra si stima ci siano circa 200mila persone. Che sono però sempre meno di quanto sperano gli organizzatori, forse per poter competere con Woodstock. Il suo concerto, anche a causa della lunga attesa per salire sul palco, dura solo poco più di un’ora, come da contratto.
Davanti a lui, nell’oceano di folla, ci sono anche i Beatles, i Rolling Stones e tante altre celebrità, tutti suoi fan in adorazione.

Troppe aspettative?

Con lui, come sempre, la Band. She Belongs to Me è la prima canzone. Le successive Mr. Tambourine Man, Maggie’s Farm, Lay Lady Lay, Like A Rolling Stone e I’ll Be Your Baby Tonight scaldano sempre di più l’atmosfera. Secondo i testimoni l’apice del concerto arriva però solo con Rainy Day Women #12 & 35, che purtroppo alla fine gela il pubblico.
Dylan, infatti, puntuale come la mezzanotte, spegne e se ne va. Perfino i suoi sostenitori più illustri ne parleranno con parole di elogio ma senza poter nascondere un po’ di delusione: «Ha fatto un’esibizione ragionevole, un po’ fredda, ma purtroppo tutti si aspettavano Godot in persona, o forse Gesù», dice John Lennon.
Clapton invece è più politicamente corretto: «È stato fantastico. Ha cantato con una voce blues modulando in modo sempre diverso ogni parola, fino a sembrare un vero cantante country e western. Ma la gente non lo ha capito…».
Dylan sentenzierà più saggiamente: «Non sempre le aspettative della gente coincidono con la realtà».

Lui non farà concerti per altri due anni e, tornato negli Stati Uniti, abbandonerà la bucolica Woodstock, che bucolica più non è, per trasferirsi di nuovo in città, nel Greenwich Village di New York, sempre più in fuga dalla fama e sempre più alla ricerca di se stesso.
Il Festival dell’Isola di Wight si chiude con numeri e report non paragonabili a Woodstock. Nessun morto, nessun delirio di droghe, pochi tafferugli, solo un pezzo di staccionata divelto, qualche piccolo falò e una immensa marea di sporcizia che impegna per oltre un giorno l’organizzazione per ripulire quello che resta di un bel prato inglese. This is England.