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Bob Dylan dice di no a Woodstock, ma si lascia convincere dagli inglesi, che nell’agosto del 1969 organizzano il loro festival sull’isola della Manica. Dove è accolto come fosse il Messia.

Articolo pubblicato su Vinyl n.6 (febbraio 2019)
di Giuliano Donati

Nella seconda metà degli anni ’60, la rivoluzione culturale, che ha contribuito a scatenare, dilaga su entrambe le sponde dell’Atlantico, ma Bob Dylan è già mentalmente altrove. Dove, esattamente, non lo sa neanche lui. Forse è alla ricerca di un sé più originale e indipendente.
Prendendo le distanze dai proclami dei leader ai quali è stato associato (Castro, Kennedy e Malcolm X per primi, con cui finisce per condividere una copertina di «Esquire»), nel 1968 Mr. Zimmerman è impegnato a scrivere canzoni sentimentali che deludono le aspettative della critica impegnata.

Quale controcultura?

«Qualsiasi cosa sia la controcultura», scrive nella sua autobiografia, «ne ho abbastanza di quella roba». E aggiunge: «Sono stufo del modo in cui le mie canzoni vengono interpretate e manipolate, capovolgendo spesso i loro significati al solo scopo di creare polemiche o per additarmi come se fossi il dio della ribellione».
In quel periodo, culminato nel “quasi fatale” incidente motociclistico del luglio 1966, avvenuto nei dintorni di Woodstock, Dylan torna a incidere un nuovo disco. Lo fa dopo una pausa di diciotto mesi da Blonde on Blonde, diventato da subito un long seller come molti suoi dischi degli anni ’60. Escono così in sequenza John Wesley Harding nel 1967 e poi, dal 1969 al 1970, la trilogia di Nashville Skyline, Self Portrait e New Morning. Il 1968, guarda caso, resta una data assente dalla sua discografia.

Una scelta? Pure elucubrazioni. Vero è che Nashville Skyline è un vero e proprio tuffo nel country più soft. La voce nasale, e forse artificialmente invecchiata, di quando aveva vent’anni lascia il posto a una voce molto più pulita. Il surreale inventore di immagini e significati simbolici sembra ora voler dire le cose in modo più semplice.
La foto di copertina di Nashville Skyline di Elliott Landy è tra le più belle del Dylan di quegli anni, un vero “country guy” , come lo definivano allora, un Dylan perbene e semplice, che ha smesso di fumare, che vive con la famiglia in una fattoria nei dintorni di Woodstock per sfuggire agli incubi della notorietà, e che quindi dirà di no, con fermezza all’omonimo festival.

L’offerta che non puoi rifiutare

A chi continua a vedere in lui il portavoce della controcultura, il ventottenne Dylan risponde in modo forte e chiaro: «Woodstock è stato l’apice di tutta quella follia, e il brutto è che sembra avere avuto qualcosa a che fare con me e con quello che la mia musica rappresentava». Come se non bastasse, ecco la conclusione: «Tra quella gente non possono esserci i miei fan!». Spaventato e irritato dalla cultura hippie, tre mesi dopo aver rifiutato l’invito a Woodstock, Dylan accetta invece, sia pure a fatica e dopo una iniziale incertezza, l’invito degli inglesi all’Isola di Wight, forse perché gli arriva sotto forma di una vacanza organizzata per tutta la famiglia. O forse, come dichiara all’epoca, perché vuole visitare la casa del poeta Alfred Tennyson, confermando così le sue ispirazioni letterarie e bibliche, quelle di un Dylan colto, introspettivo, stufo del clamore della controrivoluzione e bisognoso di idee nuove e di radici culturali più salde.

How does it feel?

Forse, però, la vera ragione per cui accetta l’invito è un’altra: gli inglesi gli offrono infatti subito la possibilità di essere la star indiscussa del festival, promettendogli che in suo onore ci saranno sotto il palco ad assistere alla sua performance molte rockstar inglesi, tra cui John Lennon con Yoko Ono, George Harrison e Ringo Starr.
I manifesti del concerto non lasciano dubbi: la foto di copertina di Nashville Skyline campeggia al centro della locandina. Il suo nome è scritto ancora più in grande di qualsiasi altra informazione: “Bob Dylan & The Band in concert”. Subito sotto la foto, in piccolo, l’elenco degli altri nomi che partecipano al Festival: Moody Blues, The Who, Free, Pretty Things, Aynsley Dunbar, Joe Cocker per citarne alcuni.

Ray Foulk, l’organizzatore, racconta di aver ovviato all’iniziale incertezza di Dylan così: «Abbiamo pensato di rendere quelle giornate più simili a una bella vacanza per lui e la sua famiglia. Gli abbiamo riservato una bella fattoria a Bembridge, con piscina e campo da tennis, oltre a un’auto con autista tutta per lui. E ovviamente gli abbiamo offerto 50.000 dollari», anche se su qualche giornale si è parlato pure del 50 percento degli incassi della serata di domenica.
Non pochi se si considera che gli Who ne hanno incassati meno di 1.000 e così anche Richie Havens.

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