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Il fondatore del Banco del Mutuo Soccorso, Vittorio Nocenzi, tra i padri del rock progressivo a livello internazionale, ha ancora voglia di raccontare grandi storie in musica, come dimostra l’ottima qualità dell’album Transiberiana della rinnovata formazione della band. Lo abbiamo intervistato, per parlare del presente e del passato, perché «senza memoria non c’è futuro»

[di Guido Bellachioma – articolo integrale pubblicato su Vinyl n.10]

Una persona raramente avverte l’importanza dei cambiamenti nella propria vita, quelle improvvise svolte nella storia, individuale e collettiva, che al momento possono segnare anche un fallimento ma che, riconsiderate a distanza di tempo, assumono le sembianze del successo, a volte clamoroso.
In fondo è capitato così anche a Vittorio Nocenzi,  pianista, compositore, fondatore del Banco del Mutuo Soccorso, un artista di sensibilità prodigiosa che ha ha avuto la possibilità di vivere da protagonista una delle stagioni più eccitanti ed esaltanti per la musica popolare italiana, la stagione del Prog.

«Nel 1968 suonavo nella band di Gabriella Ferri, che alla fine dell’estate doveva incidere per la RCA il suo terzo album, in cui c’erano otto mie canzoni. Riccardo Michelini, direttore artistico della casa discografica, mi chiese se avevo altri brani e il gruppo per registrarli. Risposi affermativamente. Ovviamente mentivo. I brani c’erano, ma non la band per eseguirli. Allora reclutai alcuni amici musicisti e mio fratello Gianni al pianoforte. La formazione si allontanava dal cliché imperante due chitarre-basso-batteria. Il provino andò bene e firmammo il contratto. Arrivarono i poster per la band, due produttori artistici (Piero Pintucci e Cesare Di Natale), la registrazione dell’album: un sogno a occhi aperti. Passarono altri due anni, ma quel disco rimaneva nel cassetto, perché ritenuto poco commerciale. Nel 1970 la RCA ne pubblicò tre pezzi nella compilation Sound ’70, divisa con il Balletto di Bronzo, i Trip e gli Showmen. Decisi di cambiare strada con nuovi elementi, tenendo solo mio fratello. Il primo che trovai fu Marcello Todaro dei Fiori di Campo (chitarra), poi tre elementi del gruppo Le Esperienze: Francesco Di Giacomo (voce), Renato D’Angelo (basso) e Pierluigi Calderoni (batteria). Un nuovo provino con RIP non commosse le orecchie dei dirigenti RCA, così capii che il Banco doveva andare a Milano, dove firmò per la Ricordi e registrò il Salvadanaio, Darwin! e Io sono nato libero: tutti ai vertici della classifica italiana di vendita, altro che band non commerciale. Per anni, quando passavo davanti all’RCA, mi sono esibito in un pernacchio degno di Eduardo De Filippo ne L’oro di Napoli!».

Quale atmosfera si “respirava” negli anni ’70?
«Anche nella quotidianità, non si era ancora perso il piacere delle emozioni, della poesia, delle visioni prospettiche, dei valori di riferimento come torri di guardia e di segnalazione su cui orientare i sentimenti e le idee. In un contesto simile, la musica era un veicolo di comunicazione primario, a cui si affidavano le proprie aspettative, e da cui si aspettavano anche le risposte alle tante domande del movimento giovanile occidentale. La musica va al di là della logica delle parole e dei concetti universali: è un linguaggio oltre la realtà tangibile, cerca risonanze intime in ognuno di noi, come nessun altro linguaggio umano può fare».

E in tutto questo arriva il Banco, in cui emozioni e poesia sono aspetti fondamentali della musica. In fondo, gli anni ’70 hanno avuto bisogno del Banco?
«Più che del Banco hanno avuto bisogno di alcune idee centrali del nostro “fare musica”, per esempio l’idea di arte totale. Ovviamente è un’antica utopia che nasce ben prima di noi e ha ispirato artisti in ogni epoca. Forse la storia del Banco ha sostenuto queste teorie come possibili, reali, unitamente all’importanza della parte letteraria, che diventa un tutt’uno con quella sonora, creando un “unicum narrativo” inscindibile. Senza il movimento artistico del rock progressivo la musica europea avrebbe perso un momento di ricerca sperimentale. Il nostro obiettivo era abbattere la divisione tra uno stile musicale e l’altro. Passare in un attimo dalla liricità operistica all’energia ritmica più travolgente è una libertà espressiva unica: una vera sfida a regole spesso sterili e inutli, che nulla hanno a che vedere con la ricerca dell’emozione ancestrale. Avevamo bisogno di sentirci senza fiato, con quel cuore in gola che ti fa sentire innamorato».

[continua con la seconda parte mercoledì 23 / foto Facebook Banco del Mutuo Soccorso – Official]