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Angelo Branduardi racconta i suoi 70 anni di vita e 45 di musica. E il suo ultimo album, Il cammino dell’anima, ispirato all’opera visionaria di Hildegard von Bingen

[di Andrea Pedrinelli – articolo integrale pubblicato su Vinyl n.13]

Quando suono sono troppo felice e mi trovo bene anche in questo scorcio di millennio, che pure sembra così lontano dal mio mondo e dalla mia arte. E mi reputo fortunato, pure: non vorrei mai essere un debuttante di oggi, per quanto ci siano molti più modi di farsi notare rispetto a quando ho iniziato io.

Però i direttori generali dei primi anni ‘70 ti davano cinque anni di tempo, di solito ti concedevano di fare almeno tre dischi, e magari ti concedevano anche un piccolo contributo mensile di sostentamento. Oggi ti danno cinque minuti: e se non funzioni ricevi una pedata nel didietro.

Comunque, tornando alla musica, tutto ciò che faccio quando mi rapporto a lei mi è terapeutico. E anche se certe cose prodotte oggi mi urtano, soprattutto quando avverto in esse della misoginia, mi troverò bene nella contemporaneità finché potrò fare le mie, di cose; la mia musica fuori dai canoni, che però regge ancora i teatri e da sempre mi regala serenità.

Il cammino dell’anima

Con l’album Il cammino dell’anima, una suite in nove parti che ridà voce all’opera visionaria di Hildegard von Bingen, monaca benedettina di origini tedesche vissuta fra il 1098 e il 1179, sono tornato agli album in studio a sei anni di distanza da Il rovo e la rosa. E molti mi chiedono perché Hildegard, ovviamente.

Hildegard fa parte di un cammino mio degli ultimi anni, un cammino contorto, nel quale sono anche caduto, ed in cui a un certo punto m’è tornato in mente quello che mi diceva il mio professore di violino Augusto Silvestri, grande pedagogo. Quando imparavo un brano bello diceva: adesso chiudi gli occhi, la memoria muscolare ti darà l’impressione che sia il violino a suonare te, e tu non devi più essere qui e ora.

Io ero piccolo, lo capivo sì e no: però nel tempo ho approfondito il suo spunto della musica come visione, visione di ciò che sta al di là della porta chiusa. È partendo da lì che ho percorso strade particolari alla Ricerca con la “R” maiuscola, come i Cavalieri della Tavola Rotonda: e che sono incappato in questa donna rivoluzionaria, Hildegard, che nell’anno Mille scriveva musica e la chiamava “Sinfonia” perché la considerava la più alta forma d’arte.
Il che corrisponde a quanto ha sempre detto il mio amico Ennio Morricone: la musica è l’arte più astratta, dunque la più vicina all’Assoluto comunque tu poi voglia chiamare quest’Assoluto.

Ho iniziato quindi a studiare Hildegard von Bingen, che era una visionaria. Era erborista, dietologa, ebbe l’intuizione di mettere il luppolo nella birra… Era insomma uno spirito libero: una monaca che divenne badessa e aveva un suo bellissimo ordine nel quale le consorelle erano vestite di bianco, senza velo, a volte con dei fiori nei capelli sciolti. Hippies dell’anno Mille, in pratica. Insomma, Hildegard fu una vera rivoluzionaria tanto che è stata ed è uno dei miti del femminismo.

Sul piano spirituale e poetico Hildegard aveva poi delle visioni che il suo frate confessore raccoglieva e “traduceva”: e ce ne sono due di “Estasi” nel disco, Il figlio e La donna, perché quelle visioni sono poesie semplici ma straordinarie.
Sul piano musicale inoltre nelle sue cose ho trovato melodie bellissime, ovviamente orizzontali nel senso che ai suoi tempi non c’era ancora la polifonia; così che con grande rispetto l’ho aggiunta io, per arrivare al mio disco, perché una volta incappato nella figura e nell’opera di Hildegard von Bingen con mia moglie Luisa Zappa ci siamo subito messi a lavorare.

I testi del Cammino dell’anima sono stati la parte decisamente più difficile, la von Bingen scriveva in una lingua che non era più latino ma non era ancora tedesco. Io parlo bene il tedesco e qualcosa ho risolto: però alla fine sui passaggi che non riuscivamo a chiarire ci siamo appoggiati a una traduzione dei suoi scritti fatta in inglese da una professoressa americana.

E alla fine di questo percorso, ecco Il cammino dell’anima: faccenda anomala, provocatoria, che amo molto per quanto è controcorrente. E che a me come persona ha donato una consapevolezza forte, che posso riassumere in una frase esaustiva di Hildegard stessa: “Guardati, in te il cielo e la terra”. Il sacro e il profano, il mondo intero non è extra nos, fuori di noi, ma intra nos. Tutto è già dentro la nostra anima.

Musica al femminile?

È interessante, partendo dalla mia scelta di rileggere la von Bingen autrice, riflettere sulla possibilità che l’opera di un uomo sia diversa nelle fondamenta da quella di una donna; e che dunque possa esistere una scrittura al maschile e una al femminile. Certo nella storia ci sono state, ci sono tuttora, ottime musiciste e direttrici d’orchestra nel campo classico.
E nel passato ci furono anche molte compositrici; tutte però dopo la prima, l’apripista, che fu proprio Hildegard von Bingen.

In ambito pop-rock o cantautorale, poi, di esempi di scrittura al femminile che si differenzia dalla media ce n’è a bizzeffe: da Joan Baez a Joni Mitchell. Ma cambia qualcosa, e che cosa? A mio avviso cambia che scrivono meglio. Sì, le donne scrivono meglio. In parte proprio tecnicamente, ho notato, e poi …perché sono donne.

[continua con la seconda parte]